Un macigno su quelle migliaia di provvedimenti emessi per guida in stato di ebbrezza accertati con l’etilometro, l’alcoltest o qualunque altro marchingegno utile a individuare il tasso di alcol nel sangue al momento del fermo delle forze dell’ordine.
Di fatto deve ritenersi nullo l’accertamento dello stato di ebbrezza mediante etilometro effettuato senza che l’interessato sia avvisato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, dovendosi ritenere detto incombente un accertamento tecnico irripetibile, stante l’alterabilità, modificabilità e tendenza alla dispersione degli elementi di fatto che sono oggetto dell’analisi, e l’obbligo di avvisare l’interessato non ricorrente soltanto nel caso in cui l’accertamento sia eseguito in via esplorativa: ne consegue che detto obbligo sicuramente ricorre quando è la stessa polizia giudiziaria a dare atto che al momento dell’accertamento risulta possibile desumere lo stato di alterazione del conducente da elementi sintomatici come gli occhi lucidi e l’alito vinoso e che in caso di mancato adempimento dell’obbligo il decreto penale di condanna deve essere annullato perché il fatto non sussiste. È quanto emerge dalla sentenza 1619/13, emessa dall’ufficio Gip del tribunale di Milano (giudice Donatella Banci Buonamici).
Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, quando un utente della strada viene fermato e sottoposto ad accertamento tramite alcoltest, assume la qualifica di “soggetto sottoposto ad indagini di polizia giudiziaria”. E questo perchè in caso “il fermato” abbia un tasso alcolemico superiore allo 0.80 gr/L incorrerà nel reato penale di “guida in stato di ebbrezza” previsto dalla legge. La concreta possibilità, che grazie all’accertamento compiuto tramite alcoltest al soggetto venga contestato un reato penale, gli conferisce certamente la qualità di persona sottoposta ad indagini di polizia giudiziaria.
AUTORE. Giovanni D’AGATA
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