“Non siamo qui per un giudice morto, ma per dei giudici vivi!” aveva sottolineato con forza Salvatore Borsellino a Palermo, dal palco di via D’Amelio lo scorso 19 luglio, in occasione del ventennale della strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e i ragazzi della scorta.
Ormai da qualche anno, le meste commemorazioni hanno lasciato il posto alla richiesta di verità e giustizia e alla solidarietà per i magistrati che da tempo cercano di fare luce sulla trattativa tra mafia e pezzi dello Stato che sta alla base di quella strage. Altre piazze hanno scelto invece di mantenere una posizione più “conservatrice”, mettendo l’accento sul ricordo di un eroe ucciso dalla mafia.
A Castelvetrano, nel centro della borgata di Marinella di Selinunte, si è assistito al “Festival della legalità”: cinque giorni di incontri, dibattiti e spettacoli dal 18 al 22 luglio.
Un tour per ricordare Paolo Borsellino? Una maratona di eventi per sostenere i magistrati che cercano la verità?
Il senso principale attribuito dai promotori dell’iniziativa (la Provincia Regionale di Trapani e il Comune di Castelvetrano) sembra sia stato ancora più “originale”: la promozione del territorio.
“L’organizzazione di un evento che lanci il territorio e lo valorizzi, secondo me, è indispensabile” aveva detto nella conferenza stampa di presentazione, Mimmo Turano. E dopo aver parlato del rilancio dei beni archeologici, ha messo l’accento su una strana rieducazione del territorio “alla volontà di segnare un discrimine forte con un passato che non appartiene più a nessuno e che tutti contestiamo”. Come se la mafia esistesse soltanto in termini residuali, al punto che anche “l’attività di sindaco è quella che qualsiasi sindaco d’Italia mette in campo in una città del meridione – ha aggiunto Felice Errante – con tutti i problemi che non sono particolarmente complessi, ma sono comunque difficili da affrontare”.
E la musica rimane la stessa anche nel giorno di chiusura del festival dove il neo sindaco di Castelvetrano, prima dell’intervento di Antonio Ingroia, ripete il mantra del suo predecessore Pompeo, su una città che vuole essere ricordata per le bellezze del territorio.
Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”
diceva Paolo Borsellino
Il senso del festival sembra diverso, anche a giudicare dalle stesse parole del sindaco Errante: “Io sono molto orgoglioso del risultato che abbiamo ottenuto in questi cinque giorni del festival, perché realmente ha dato il senso a quella che vuol essere un’azione amministrativa che nei prossimi cinque anni sarà proiettata per ricordare Castelvetrano per le cose belle che ha e non per le cose brutte che le appartengono, ma non appartengono ai 32 mila cittadini laboriosi che ogni mattina, se hanno la fortuna di avere un lavoro, si alzano per andare a lavorare”.
Anche Pasquale Calamia, consigliere comunale del Pd al quale la mafia incendiò la casa per aver auspicato pubblicamente la cattura di Matteo Messina Denaro, alla fine non racconta la sua storia. Al microfono del giornalista Roberto Puglisi parla del suo retaggio cattolico e di partito, del volontariato in parrocchia, di scelte chiare e nette a decidere da che parte stare. Ma parole come “mafia”, “fuoco”, “fiancheggiatori”, pronunciate in altre occasioni, stavolta non sembrano trovare la loro naturale espressione. Al loro posto ci sono termini più soft, come “l’auspicio, non solo mio ma di tutti i cittadini castelvetranesi, che in città prevalga il buon senso, il rispetto della legge, il rispetto della persona”.
Chissà se abbia giocato l’emozione del momento, oppure la percezione più o meno consapevole di non avere il pieno e incondizionato appoggio dell’intera società civile.
Chissà quanto avrà influito il dibattito sull’antiracket di due giorni prima, dove persone impegnate sul fronte antimafia come il preside Francesco Fiordaliso e l’imprenditore Nicola Clemenza hanno raccontato le loro angosciose esperienze, fatte di minacce e intimidazioni, ad un uditorio di poco più di venti persone.
Nessuno dell’amministrazione comunale.
Nessuno dei quaranta ragazzi di “I love legalità” ad ascoltare anche le scomode considerazioni di Fiordaliso su uno Stato che non sta riuscendo a garantire le centinaia di posti di lavoro delle aziende di Grigoli, da tempo sottoposte ad amministrazione giudiziaria. In pochi ad ascoltare le condivisibili critiche da parte di Maria Teresa Nardozza di Libera e dell’avvocato Giuseppe Novara dell’Associazione antiracket di Trapani, sull’ormai famosa uscita shock del neo sindaco di Trapani Vito Damiano di non parlare di mafia per non dare importanza ai boss. Tutti contenuti che non hanno trovato spazio nemmeno sulle pagine locali dei quotidiani, come se imperasse una sorta di “mattinale” alla Bonaiuti per la diffusione di un messaggio a senso unico: la mafia non ci appartiene più.
Chissà quanto avrà influito sulla timidezza del consigliere Calamia l’incontro del 21 agosto, dal tema “Rieducare i mafiosi è possibile?”, con un avvocato penalista, garante dei diritti dei detenuti (Lillo Fiorello) che critica aspramente il carcere duro per i mafiosi, dicendo che “limitare le visite dei parenti ad una al mese non rieduca il condannato e rischia di essere una misura esclusivamente afflittiva”.
Affermazioni che, a prescindere dal loro eventuale valore accademico, non possono che stridere con le condizioni, quelle si, definitivamente “afflittive” dei parenti delle vittime della strage che non vedranno mai più i loro cari. A volte, ancora oggi, ritorna malignamente alle loro orecchie il suono gracchiante di quel megafono che invita a fare attenzione a non calpestare resti umani, nell’inferno di via D’Amelio, il 19 luglio.
Quanto e a chi ha potuto giovare questo rigetto del 41 bis, in un momento così delicato di ricerca della verità sull’ignobile trattativa mafia-Stato che qualcuno si ostina ancora a definire “presunta”?
Anche di questo, nessuna traccia nei giornali locali.
Ci si chiede, al di là dei pochi che ci credono veramente e che si espongono, se non ci sia il rischio di una nuova antimafia basata solo sul motore emotivo della reazione all’etichetta. Ci si chiede se non si stia assistendo alla nascita di una nuova legalità comoda, buona per tutti, in una città che avrebbe “avuto la sola colpa di aver dato i natali a Matteo Messina Denaro” e una provincia che aspetta sempre nuovi investimenti per il suo sviluppo.
Una nuova antimafia che non si occupa di fiancheggiatori, complici, imprenditori, politici e appalti (per quello ci sono i magistrati, come ormai si usa dire) e che considera la mafia come un cancro su un corpo sano.
Ma quanto può essere sano un territorio con decine e decine di persone che a ritmo continuo vengono arrestate per mafia, con beni sequestrati per milioni di euro in tutta la provincia di Trapani?
Quanto può essere sano un territorio dove il sindaco di Campobello di Mazara è in galera? Antimafioso solo sui giornali, era in realtà il primo amico dei boss.
E il sindaco di Valderice Camillo Iovino, condannato per favoreggiamento?
E i recenti fatti di Salemi?
E quelli di Alcamo?
Siamo di fronte ad un piccolo esercito, che non può che ingrossarsi a dismisura se teniamo in considerazione anche tutti coloro che sono stati raggiunti da avvisi di garanzia, insieme anche a coloro che, pur non avendo avuto mai a che fare con la giustizia, hanno invece a che fare con la mafia ma non sono stati ancora arrestati.
Tutto ciò non fa affatto parte, come sostiene Turano, di un passato che non ci appartiene più e che tutti contestiamo. Ecco perché, come dice Maria Teresa Nardozza di Libera, “è difficile far fiorire una società civile a Castelvetrano”.
L’impressione è che, fatta salva l’opera meritoria di pochissime persone tra presidi e insegnanti, vi sia ancora la tendenza a delegare a magistratura e forze dell’ordine il problema mafia, derubricando l’interesse alla legalità quasi in termini di educazione civica.
Ma una consapevole e responsabile antimafia sociale non può limitarsi a non buttare la cartaccia a terra.
E le cure, in assenza di diagnosi, non hanno certo molte probabilità di portare alla guarigione.
Egidio Morici (500firme.blogspot.it, 11 agosto 2012)
AUTORE. Egidio Morici
Ti stimo profondamente, Egidio Morici, per il tuo pensiero lucido. Io sono di Partanna, ricordo che quando sono usciti dalla galera gli arrestati per i fatti degli anni ’80 buona parte del paese si è data da fare per stringere loro la mano, per mostrarsi solidale per “la triste condizione” subita in carcere. Come se non fossero criminali… Ogni giorno registro a Partanna e a Castelvetrano piccoli ma significativi fatti di mafia quotidiana, comportamenti illeciti, fiancheggiamenti ideologici, sui giornali leggo dei fiancheggiamenti veri e propri, di quelli scoperti dalle forze dell’ordine… Insomma, la mafia non è un cancro innestato in un corpo sano, ma l’espressione ultima di un corpo malato. La mafia la stiamo esportando anche al nord, come diceva Sciascia stiamo spostando al nord la linea della palma. Rispetto a questa situazione, mi sembra assurda la linea politica di certi sindaci meridionali, la linea cieca della pro loco.
tutta questa storia mi fa ricordare il paese dei malandrini di pinocchio, che vengono liberati e il burattino in carcere. solo quando c’è un nuovo re ,e avviene l’amnistia,pinocchio che rischia di rimanere ancora in prigione, dice alla guardia, che non lo vuole fare uscire, ..scusi sono un malandrino anche io…e la guardia lo libera… collodi è sempre attuale….