Dall’ottimismo della ragione a quello della follia. Sono un assiduo frequentatore di questo sito credo che chi lo ha pensato e costruito abbia fatto qualcosa di veramente meritevole per la nostra città, avendo aperto una finestra di informazione e dibattito che mancava , e che serve a far si che chiunque possa dire quello che pensa.
Oggi vorrei sottoporvi alcuni dati che ritengo molto importante per capire dove sta andando il nostro paese. Di fronte a tutte le grande manifestazioni di ottimismo degli uomini che compongono il nostro governo penso che un’attimo di considerazione sulla nostra società sia d’obbligo.
Mi chedo come si possa chiedere di essere ottimisti oggi di fronte ad una crisi che a detta di tutti risulta essere la più grave crisi economica degli ultimi cinquanta anni. In questi giorni ho letto L’ultimo rapporto “su povertà ed esclusioni sociale in Italia” curato dalla Caritas e dalla fondazione “E.Zencan”, tale rapporto porta il titolo di “Ripartire dai poveri” titolo che serve a far capire a chi governa lo stato, le regioni, le Province (Ma non dovevano eliminarle?), i comuni etc. che non ci si può rassegnare alla povertà, o combatterla con spruzzate di ottimismo.
Qui esporvi solo alcuni dati che danno l’idea di dove sta andando il nostro paese. “Avere tre figli da crescere significa un rischio di povertà pari al 27,8 per cento, e nel Sud questo valore sale al 42,7 per cento”. Secondo il rapporto, «il passaggio da 3 a 4 componenti espone 4 famiglie su 10 alla possibilità di essere povere. Appartenere a una famiglia composta da 5 o più componenti aumenta il rischio di esserepoveri del 135 per cento, rispetto al valore medio dell’Italia. Ogni nuovo figlio, dunque,costituisce per la famiglia, oltre che una speranza di vita, una crescita del rischio diimpoverimento.
L’Italia, coscientemente o meno, incoraggia le famiglie a non fare figli. Irisultati di una tale politica – sottolinea il testo – si vedono: l’Italia occupa uno degli ultimiposti al mondo per indice di natalità. Sempre tale rapporto, evidenzia, la cresciuta insicurezza delle famiglie italiane per la preoccupazione di non essere in grado di far fronte a eventi negativi come per esempio l’improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare, o l’instabilità del rapporto di lavoro, o gli oneri finanziari sempre maggiori (ad esempio, mutui a tasso variabile)”. Anche la presenza di un solo anziano nella famiglia, rileva il Rapporto Caritas Zancan,”aumenta il rischio di povertà: un disagio che si osserva in tutte le ripartizioni territoriali, mala differenza rispetto alle altre caratteristiche familiari è particolarmente evidente nelleregioni del centro e del nord, che si caratterizzano anche per la maggior presenza dianziani tra la popolazione residente”.
“Da un’incidenza media della povertà del 4,5 per cento nel Nord e del 6 per cento nel Centro, si sale rispettivamente al 6,3 per cento e all’8 per cento se nella famiglia è presente almeno un anziano”. “L’elemento di novità emerso dalle diverse inchieste sulla povertà degli ultimi anni -sottolinea il Rapporto – è l’aumento numerico non di famiglie povere, ma di famiglie noncomputabili come povere solo perchè le loro risorse finanziarie sono appena sopra la linea della povertà, ossia la superano per una somma esigua che va da 10 a 50 euro al mese.
“L’Istat calcola che queste famiglie a rischio di povertà siano oltre 900 mila. Esse arrivanocon difficoltà alla fine del mese, e sono costrette a indebitarsi e a ricorrere ai centriassistenziali, nonostante abbiano un lavoro e un reddito. » Alla fine del 2005 – ricorda il Rapporto – il 14,7 per cento delle famiglie arrivava a fine mese con molte difficoltà equeste difficoltà erano maggiori per: le famiglie con cinque o più componenti (22,5 percento) e per quelle unipersonali (16,0 per cento); le famiglie monoreddito (18,7 per cento);le coppie con 3 o più figli (23,5 per cento); le famiglie monogenitoriali (19,4 per cento).L’incapacità di sostenere una spesa necessaria ma imprevista riguardava il 28,9 per centodelle famiglie italiane e in particolare: le famiglie unipersonali (35,6 per cento), anzianisopratutto, e quelle con cinque e più componenti (33,5 per cento); le famiglie monoreddito(37,8 per cento); le famiglie con 2 minori (32,9 per cento); quelle con un anziano (33,3 percento)”.Cosa significa tutto ciò? come il nostro paese intende affrontare tale grave crisi?. Bisogna anzitutto dire che l’Italia manca di un piano di contrasto alla povertà, la ricaduta negativa di questo vuoto nella famiglia è il rischio di un progressivo allargamento dell’esclusione sociale. Abbiamo infatti visto come l’aumento dei figli in famiglia o l’anziano in casa faccia aumentare in maniera notevole il rischio di povertà.
Come si può risolvere questo problema se non con un serio piano di contrasto alla po¬vertà, che non può esaurirsi nella produzione di misure riparatorie (vedi social –card) di una realtà già degradata, ma impone di sviluppare anzitutto interventi di prevenzione della povertà: tra questi va data priorità alle politiche a sostegno delle famiglie. Ecco il nodo fondamentale, oggi secondo me, manca una seria politica della famiglia. I nostri governanti non debbono mai dimenticare inoltre che l’emarginazione di un solo cittadino rende più povera l’intera società.
Giovanni Ferreri