La figura di Matteo Messina Denaro sta ultimamente tornando molto alla ribalta anche in seguito alla pubblicazione sul quotidiano S del giornale di Sicilia delle “sue” lettere ad un amico, lettere dalle quali emergerebbe la figura di un boss capace di citazioni colte e raffinate, capace di lunghe dissertazioni metafisiche, ma comunque potente.
È lui che decide degli appalti, e sempre lui decide chi deve pagare e quanto: emblematica è la coincidenza tra le cifre risultanti da un documento che è stato trovato nella contabilità di un’impresa legata ad un affiliato a Cosa nostra di Agrigento dai funzionari della Dia, su richiesta della Dda di Palermo e quelle ritrovate sui pizzini di Provenzano.
C’è un credito vantato da Grigoli nei confronti di un affiliato al clan di Ribera, Giuseppe Capizzi (indicato come CPZ) che ha gestito nel 2001 un punto vendita della Despar e ottenuto da Grigoli merce per 297 mila euro. In particolare Capizzi si lamenta del fatto che Grigoli pur avendo numerosi supermercati in zone di competenza agrigentina non paghi il pizzo, giustificando così la sua insolvenza.
In un pizzino in particolare Messina Denaro scrive: “Io da parte mia non accetto alcuna richiesta da subalterni presunti tali come il sig. Capizzi…La prego di far sapere agli amici di AG che se questo discorso del pizzo è vero lo voglio detto tramite lei dal mio pari di AG e solo con il mio pari possiamo aprire un dialogo”. Segue a questa missiva un forte interesse di Provenzano, interesse che verrà successivamente elogiato da “diabolik” il quale ringraziando lo “ziu Binnu” dice che vuole chiarire questo malinteso col collega agrigentino, ed entrando nel merito della questione economica scrive: “Dopo avere letto le parole dell’amico di AG mi sono documentato di persona ed i conti risultano essere questi: E 297mila euro ( circa seicento milioni delle vecchie lire) di fatture non pagate, cioè è merce che il Capizzi si è presa dal mio paesano e che non ha mai pagato, tutto ciò è dimostrabile perché ci sono fatture non pagate.
Poi ci sono questi E 75.000 (circa 150 milioni delle vecchie lire) di liquido che il mio paesano ha dato per AG, credo che questi 75 mila euro siano quelli che lei ha chiamato furfè , questi essendo liquidi non sono dimostrabili ma non credo che qualcuno negherà di avere avuto questi soldi dal mio paesano.” Una coincidenza di cifre che incastrerebbe Grigoli come il cassiere del boss e che lascia aperte infinite possibilità investigative riguardanti la connessione mafia – imprese.
In questo torbido scenario di intrecci, abbiamo chiesto ad alcuni ragazzi castelvetranesi cosa ne pensassero di questo che si presenta come un nuovo volto della mafia: non più avvinghiata alle poltrone della politica, ma bensì attenta ad ogni attività economica lecita e non; abbiamo anche chiesto cosa ne pensassero del boss “diabolik”, se chiedere la raccomandazione è un comportamento mafioso e se avessero mai denunciato una eventuale richiesta di pizzo.
Le risposte alla prima domanda sono state varie: molti sono convinti del fatto che la mafia non è poi così importante per l’economia del nostro paese, ma tanti altri hanno risposto diversamente, colpisce in particolare una risposta: “per il 70% tutta l’economia è in mano alla mafia” .
Ma le risposte più eclatanti e in contraddizione fra di loro si sono avute alla domanda “come giudichi Messina Denaro”: si va dagli insulti a risposte evasive come “non lo conosco” fino ad affermazioni come “è l’ultimo”, “un grande”, “da imitare” o “furbo”; in particolare la motivazione di quest’ultimo ragazzo di 18 anni è stata: “è riuscito a costruire un impero in modo illecito, alla maniera di tutti i furbi, ma proprio per questo avrà vita breve e difficile”.
Discordi anche le risposte alla domanda se la raccomandazione è un comportamento mafioso, molti distinguono le raccomandazioni fra grandi e piccole, “dipende – dice una ragazza di 18 anni – dal tipo di favore che si riceve e da chi lo fa: anche se molte volte così si entra in contatto con circoli viziosi dai quali difficilmente si esce puliti”. Ma in molti giustificano la raccomandazione come male necessario dicendo che però non è paragonabile a comportamenti di tipo mafioso.
Unanimi invece le risposte alla domanda “pagheresti il pizzo?” nessuno lo pagherebbe, in molti denuncerebbero tali richieste, ma tanti altri pensano a soluzioni più drastiche “venderei tutto” o peggio ancora un ragazzo di 16 anni dice “premesso che qui a Castelvetrano il pizzo non lo chiede nessuno, lo zio Mattè non vuole, ma se proprio mi dovesse accadere io sparerei a chi lo facesse”.
Emerge da queste interviste una duplice anima dei ragazzi a Castelvetrano: c’è chi vuole liberarsi dalla collusione con la mafia e con i suoi aggregati, ma al contempo si è creato una specie di mito del boss, un misto di ammirazione e rispetto per un personaggio quanto meno controverso.
Teresa Ilardo
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