«Un uomo che voleva bene solo a sè stesso» dice Lirio Abbate. «Un personaggio che si arricchito alle spalle degli altri», dice ancora Abbate. Matteo Messina Denaro «è stato un piccolo uomo che ha trasgredito a tutte le regole». È questo il profilo che emerge del boss latitante, poi arrestato e morto in ospedale a L’Aquila, nel libro “I diari del boss” scritto da Lirio Abbate e che ieri sera, al teatro Selinus di Castelvetrano, è stato presentato con don Luigi Ciotti. Una presentazione (la prima del libro in provincia di Trapani) con un valore particolare, visto che Castelvetrano è la città che ha dato i natali al boss. Un boss che voleva stare dalla parte del popolo: «Tra le righe del libro emerge una lettura di sé – ha detto don Ciotti – la lotta allo Stato la considerava una guerra giusta. E lo abbiamo visto col tritolo, le bombe, le uccisioni. Ma in alcuni passaggi dei diari si contraddice e qui emerge una parte di sua sconfitta».
I diari danno uno spaccato della vita del boss latitante, mettendo a nudo il profilo di chi fosse veramente: «È una storia tutta al femminile – ha detto Lirio Abbate – solo due uomini compaiono tra i diari, compreso il padre Francesco. Ma Messina Denaro emerge come una persona irrispettosa del codice mafioso, al punto tale che tiene la storia d’amore con la moglie dell’ergastolano, in carcere per un omicidio commissionato proprio da lui».
In sala, tra gli altri, anche Giuseppe Cimarosa, parente di Messina Denaro dal lato della mamma (Rosa Filardo è cugina di primo grado del boss). «Quello che mi preoccupa è il silenzio di questo momento – ha detto Cimarosa – l’unico dato certo è che lui non c’è più. Ma ci interroghiamo cosa di lui è sopravvissuto nelle nostre comunità? Quello che ho notato è stata la grande assenza dello Stato: quando l’hanno arrestato si sono accesi i riflettori, poi si sono spenti e non ho visto nessun rappresentante dello Stato venire qui per abbracciare una comunità ferita».

Lirio Abbate, Salvatore Intuì e don Luigi Ciotti.
«Matteo Messina Denaro non ha mai previsto di essere arrestato: era troppo sicuro di questo, probabilmente perché godeva di protezioni a diversi livelli. Però è stato arrestato, è questo è un successo dello Stato – ha detto il deputato regionale Antonello Cracolici, presidente della Commissione regionale antimafia – il libro ci consegna un dato: è stato uno dei pochissimi mafiosi che tenta di lasciare un testamento a chi ci sarà dopo di lui, non solo i boss di nuovo conio, ma anche la società. C’è il tentativo da parte del boss di celebrare una mitologia, c’è un manifesto di futuro che Messina Denaro indica a chi verrà dopo di lui, in nome del padre e forse in nome della figlia. Questo ci costringe a considerare un tema che non avevamo messo in conto: contrastare i mafiosi anche da morti».
Trent’anni di latitanza sono troppi: «Quella latitanza denuncia tante altre latitanze in questi 30 anni – ha detto don Luigi Ciotti – non solo complicità a livello territoriale ma ad altri livelli». E il presidente di Libera ha fatto un’analisi lucida: «La mafia fa meno chiasso di una volta e, cosa più preoccupante, nella percezione degli italiani si è passati dal pensiero del crimine mafioso al crimine normalizzato. Come dire, la mafia è diventata una delle tante cose…». Inquieta e preoccupa tutto questo ma «bisogna guarda oltre», dice don Ciotti: «Penso a una città dentro la città – ha detto – fatta di cose positive, di cose belle. Bisogna creare occasioni, opportunità e tocca ai cittadini onesti rigenerarsi di più. Lotta alla mafia significa dare strumenti a chi sta nelle diverse istituzioni. E ancora valorizzare le scuole, combattere la dispersione scolastica. Il cambiamento è possibile: ci sono momenti della vita che parlare è un obbligo morale, rimanere in silenzio è fin troppo imbarazzante…».

don Luigi Ciotti e Giuseppe Cimarosa.
AUTORE. Max Firreri