Alcuni dicono che moda e tecnologia arrivano sempre in ritardo in Sicilia. Soprattutto nei paesini piccoli e nelle campagne.
Ma la primavera no. Quella arriva in anticipo ed è un tripudio di colori che ha abituato i siciliani alla sua presenza, al punto da farli sembrare quasi indifferenti.
In effetti a volte si ha l’impressione che anche il contadino se ne fotta. Che se ne fotta del verde, dei colori del cielo, delle forme dei fiori… “Nella pignata che ci calo io? I colori del cielo?”. Difficile dargli torto, soprattutto quando c’è la crisi. E in Sicilia la crisi c’è sempre, così come la distanza tra chi ha troppo e chi non ha niente.
Jack viveva in una campagna vicino Segesta. Non aveva l’automobile. Non aveva il televisore o lo stereo e non possedeva nemmeno un libro. Non sapeva leggere. A lui piaceva tanto rotolarsi nell’erba quando c’era il sole.
Jack era un cane.
Un cagnone a pelo lungo che però viveva quasi sempre chiuso in un magazzino, dove una finestra gli aveva regalato uno spicchio di sole su cui sdraiarsi e sonnecchiare.
Quando si addormentava sognava di correre in aperta campagna. Mentre aveva gli occhi chiusi gli si muovevano le zampe e i muscoli gli tremavano. Spesso la corsa terminava quando lo spicchio di sole si spostava più in là e l’umidità prendeva il sopravvento. Allora non poteva fare altro che svegliarsi, cambiare posto, riaddormentarsi e ricominciare a “correre”. Un’attività diventata ormai più onirica che reale, a giudicare dalle volte in cui lo facevano uscire.
Ma l’8 maggio del 1991, lo spicchio di sole era ancora su di lui quando si svegliò. Qualcuno da fuori aveva gridato qualcosa. Jack si avvicinò alla porta ma, ancor prima di raggiungerla, un boato tremendo lo rispedì da dove era venuto.
La metà del magazzino era stato distrutto, così come gran parte dei suoi organi interni, tagliuzzati dalla sua stessa gabbia toracica, che l’esplosione aveva trasformato in lame micidiali.
Detriti. Polvere. Sangue. E silenzio.
Jack sentiva amplificato nelle orecchie il debole fischio del suo dolore, mentre alcuni passi avanzavano dentro quell’inferno. Erano i passi di Pietro Rampulla, del gruppo dei corleonesi, convinti che dentro quel magazzino si nascondessero i principali esponenti del clan Greco di Alcamo. L’obiettivo era sterminare l’intero clan in un colpo solo.
Avevano fatto esplodere una bombola di gas riempita di esplosivo in polvere, collegata ad un telecomando per le macchinine giocattolo opportunamente modificato.
I mafiosi di Alcamo però non c’erano, c’era soltanto Jack.
E stava per morire.
Rampulla capì subito che avevano preso un abbaglio e, anche se avanzava guardingo con il fucile in mano, sapeva già che non avrebbe trovato nessuno del clan Greco.
Dopo aver spostato qualche pietra con la canna del suo fucile, spuntò fuori la testa del cane. Jack forse pensò che finalmente era arrivato qualcuno che lo avrebbe tirato fuori di lì, che poteva ancora salvarsi. Con la lingua insanguinata leccò la punta del fucile di Rampulla.
Ma il mafioso sparò.
Il pentito Antonino Patti riferì: “Dentro il magazzino non c’era nessuno. O meglio: c’era solo un cane agonizzante. Rampulla lo ha finito con un colpo di fucile”.
A me piace pensare che jack sia ancora vivo, da qualche parte, a rotolarsi nell’erba.
Egidio Morici
(Liberamente tratto da S. Mugno, “Una strage mancata” in Matteo Messina Denaro, Un padrino del nostro tempo, Massari Editore, Bolsena 2011)