NICOLA DI MAIONo, Nicola, no. Il coccodrillo non te lo scrivo. Ti scrivo piuttosto una lettera che potrai sbirciare dal luogo migliore in cui adesso sei. Mi ricordo quando venni a casa tua, la prima volta, ragazzino con delle poesie in mano, e che tu “tra pico e pala”, come dicevi spesso, ne smontasti la boria e l’eccesso di parole. “Togliere”: parola indigesta all’adolescente, parola sacra dell’adulto. Parola che vorrei sapessi tu mi hai insegnato, mostrandomi il tuo lavoro, la tua officina, il tuo modo di concepire la scrittura, mettendo colpi di biro su quei fogli.

Dopo avermi smontato, mi hai regalato “L’ultimo nastro di Krapp” di Beckett e io, per te, lo interpretai in scena, per molte volte, fiero di avere incontrato la tua approvazione. Erano altri tempi, quelli in cui il Novecento con le sue ansie, le sue crisi, le sue scritture, non era proprio arrivato a Castelvetrano. Ma tu sì. Tu sei stato il Novecento, a Castelvetrano, almeno per me che di rassegnarmi ai “Civitoti in pretura” non volevo saperne, l’uomo che spiccava tra tanti eruditi, centinaia di poeti fai da te, e proprio per questo non appartenevi a questa Città se non come medico. I “tuoi amici”, come li chiamavi, erano palermitani, eredi della dissoluzione dell’Antigruppo o, fautori intellettuali di correnti di pensiero che trasmigravano nel secolo inquieto.

Sei stato uno studioso vero, con stilemi accademici e pertinenti, con scavo di fonti e lentezza saggia, di chi non forza mai una tesi per riempire cartelle. Sei stato tutto quello che questa Città non è mai pronta a riconoscere, per questo da parte di tanti pseudo artisti intinti di boria e recensioni, “barocchini”, come dicevi tu, eri considerato superbo, antipatico. Ma tu eri solo ed evidentemente una persona seria, un intellettuale onesto, un medico coscienzioso. Sai che la tua testa dura ha salvato mia madre, mentre “i capimastri”, come li chiamavi tu (che di te dicevi “mezza cazzuola”) annaspavano in diagnosi leggiadre? Sì lo sai. Sai che hai salvato me dalla mostruosità della depressione e che tanti altri ne hai salvati? Mi lasci con un vuoto che riecheggia dei mesi della tua malattia, fino poi all’abbraccio per strada. Mi lasci il libro su Gianni Diecidue, a due mani, con te, che io non ho mai completato per mia grave colpa, e di questo mi hai cazziato a dovere. Prometto di completarlo.
Mi lasci tutto quello che ho inteso sul “non”, sul “togliere”, sull’ “eclisse”, sul”margine”, sul non demagogico, e di questo non posso che renderti un infinito grazie.

Sono certo, devo essere certo, oltre ogni limite, oltre ogni credere, che al momento sei impegnato nella destrutturazione di qualche prolisso esito del progetto divino, così “tra pico e pala”, senza alcuna fretta.
Ah, dimenticavo…. a te devo anche i versi di Nelo Risi e l’avere inteso la tenerezza dell’istrice sotto le corazze.
Nicola, non usavamo far brodo, ma ora, solo ora, voglio dirti che ti voglio bene, e forse, se ne avrò le palle, ti rifarò quel Beckett che amavi tanto, coi suoi silenzi e le sue pause scandite.

Ciao Nicola, ti voglio bene e grazie per tutto quello che hai fatto per me.

Giacomo Bonagiuso

Breve Biografia

Nicola Di Maio è nato a Castelvetrano il 27 gennaio 1949. Nella sua città esercita la professione di medico. Ha pubblicato: “Sopralluoghi” (a cura di Santo Calì) in “Antigruppo 73” (Catania, 1973); “Reperti”, poesie 1974 – 1977, Mazzotta Ed. , Castelvetrano, 1988; “Una calla al completo”, (assieme al poeta Nino Gennaro), Perap, Palermo, 1992.

Un mazzetto di poesie – “Catasto/fette ”- figura nella “Antologia palermina”, Perap, Palermo, 1997, curata da Gaetano Testa. Ha inoltre pubblicato due libri di narrativa: “Le vele ai sassi”, Perap, Palermo, 2000 e “Un sogno alto quindici piani”, Perap, Palermo, 2005. Con testi poetici e interventi critici è presente in riviste e antologie. Ha organizzato il Convegno su Gianni Diecidue al Liceo Classico di Castelvetrano, con Franco Fiordaliso e Giacomo Bonagiuso.

Alcune Poesie di Nicola Di Maio

Da “ SOPRALLUOGHI” (1973)
DOMICILIO COATTO

o giorni tersi nel segno

del papavero kerosene brucia

in rapide asfissie si muore

e noi per sempre canuti in cicli

di sogni e attese di comesichiama

quel tale crocifissi per fame in calvari

d’oscure botteghe decentrate officine

abitiamo una casa ai controlli serali

di ventun pollici e mogli

un piatto di pasta e fagioli ventrigli

d’uccelli tre figli maneschi in età prescolare

ai confini di primevisioni luci — neon

cinturati pirelli

alla noia di cinematografi e vie

un giro di carte e un bicchiere —

il delirio del cuore è un viaggio

oltre il grigio di nubi che opprime

ALBERGHETTI

io e te una penombra

in delirio in alberghetti

a ore fuori mano

lenzuola bianche e pulite

finestre aperte

su vicoli e botteghe

di stenti merciai

io e te stupore rubato

a squallido va e vieni

di commesso viaggiatore

grazia di ciglia finte

ombreggiate le anche

mature in vesti

di crépe odalisca

che imposta se in qualche

luogo ho una vita

di moglie fedele

una fede nuziale

a un lavabo dimenticata

partendo?

INCONTRO

e tu chi sei con questi occhi

da esoftalmo protrudenti

e mi guardi con questi

tu ora come io certo dirai

chi è questo occhiazzurri

che va zigzagando

e abbiamo in tasca carte

d’identità agli inviti

di poliziotti notturni

ognuno il suo nome cognome

indirizzo mestiere per fame

sfamante

ma oltre tiriamo: lui di là

io di qua a un muro rasente

domani forse associati

a una celletta in comune:

per ubriachezza molesta

et altre invettive rabbiose

dette in faccia a chi viene

in carrozza

AUTORE.