C’è un valore non percettibile a prima vista se un libro su un femminicidio dimenticato – quale è stato quello di Santina Cannella avvenuto nel 1956 a Marianopoli, in provincia di Caltanissetta – viene presentato in un carcere dove ci sono detenuti “offender”. Ed è il valore del confronto, della riflessione e del racconto, «perché le storie, quando sono vere e sincere, agiscono sulle coscienze, provocando riflessioni, consapevolezze», dice Rosanna Provenzano, direttore dell’Uepe di Trapani, l’ufficio che si occupa dell’esecuzione penale esterna delle pene. Oggi al carcere di Castelvetrano (diretto da Giulia Bruno) è stato presentato “Ti bacio quando torno”, un testo di Cataldo Lo Iacono e Salvatore Lombardo, tutte due di Marianopoli che, dopo aver spulciato il fascicolo giudiziario di quel femminicidio, hanno scritto un libro su Santina Cannella. Una brutta pagina di cronaca: Santina, studentessa quindicenne, viene uccisa dal suo ex (il barbiere del paese) che l’avrebbe voluta moglie facendole rinunciare la via dello studio. Diversi colpi di pistola per spegnere il sogno di una ragazzina. Uccisa due volte, una con le pallottole e l’altra col silenzio che per mezzo secolo gli abitanti di Marianopoli hanno scelto di fare. «In paese guai a parlarne – ha detto oggi Cataldo Lo Iacono, emigrato quando aveva poco più di 10 anni con la famiglia a Montale, in Toscana – per decenni la storia di Santina è stata dimenticata e chi ne parlava lo faceva in segreto. Come mia madre che, io piccolo, mi raccontò cosa era successo chiedendomi di non parlarne con nessuno». Vergogna o forse consapevolezza della colpa di una comunità che nulla fece per evitare quell’assassinio.
L’idea di scrivere il libro su Santina è nata durante una cena nel 2021: «Mi ritrovai seduto a fianco a Salvatore Lombardo – ha raccontato oggi Cataldo Lo Iacono – e pensammo che era il momento di raccontare la storia di Santina». Quasi un gesto “riparatore” con un passato presto cancellato. Ecco perché è nato “Ti bacio quando torno” che oggi è stato presentato nel carcere di Castelvetrano, presenti autorità e Gabriella Di Franco, direttrice Uepe Sicilia. Ma perché presentarlo proprio in una casa circondariale con detenuti che scontano pene di violenze? «Crediamo e speriamo che questo racconto possa essere importante per tutti coloro che attraversano e abitano luoghi di detenzione, carcere…», dice Rosanna Provenzano.
Il rischio velato era quello che i detenuti “offender” avrebbero potuto leggere quella presentazione come un segno di ulteriore condanna. E, invece, l’ascolto silenzioso e appassionato, ha aperto le vie del confronto e, forse, del racconto dei detenuti con le loro storie già nei prossimi giorni alle assistenti sociali. Già, «perché ci sono le pene ma ci sono gli uomini da guardare negli occhi, da accompagnare oltre la detenzione», dice il giudice Marcello Saladino davanti ad autorità e detenuti. «Può mancare la libertà ma non la dignità», aggiunge Cataldo Lo Iacono.
La storia di Santina Cannella raccontata in un libro è «presa di coscienza che si contrappone all’indifferenza», dice ancora Rosanna Provenzano. E questo libro che si racconta nelle carceri è la straordinaria esperienza che, insieme, si può credere e investire nella sfida educativa, «quella che guarda alla vita, all’essere umano, al rispetto», dice il Vescovo monsignor Angelo Giurdanella.
Da Favignana a Castelvetrano, a Trapani. C’è un progetto – “Il pericolo di un unico racconto” – che l’Uepe di Trapani porta avanti tramite le pagine dei libri. «A Favignana abbiamo presentato “E se fosse vero” di Luciano Licifari – dice Rosanna Provenzano – qui oggi “Ti bacio quando torno”, ma altri appuntamenti sono in programma anche al carcere di Trapani». Occasioni di incontro e confronto tra chi è libero e chi sconta una pena sognando di ridare un bacio ai propri cari quando tornerà fuori. Del resto le storie servono per incontrare altre storie.