Come ho scritto al Sindaco, mentre mi compiaccio per l’inaugurazione del nuovo parcheggio nell’area dell’ex arena Italia, auspico che non vada perduto il nome storico dell’immobile: Palazzo Pavone. Accludo pertanto una nota storica scritta assieme ad A. Giardina, V. Napoli e M. Venezia, che fa parte del II volume di prossima pubblicazione de “La Città Palmosa”
Il palazzo si trova nella via Marconi, scendendo a destra. È in stile neoclassico e per certo fu costruito tra gli ultimi anni del Settecento ed i primi dell’Ottocento. Ricaviamo ciò da un atto, ai rogiti di notar Giuseppe Sciortino Pantaleo a’ 30 marzo 1814, col quale il sac. Vito Pavone, figlio di Antonino e di Caterina Pantaleo, morto di anni 66 in quell’anno, dona il palazzo, già costruito, alla sorella nubile, Giuseppa.
Dallo stesso atto apprendiamo che l’immobile fu progettato da un ingegnere spagnolo, di cui sconosciamo il nome. Il palazzo nel 1823 fu visitato dal viaggiatore architetto Hittorff il quale ne eseguì un rilievo parziale e un disegno dell’androne pubblicandoli in un suo volume sull’architettura siciliana.
Nel 1830, come risulta da appunti in appendice alla Platea del Noto, il palazzo era abitato da nipoti del canonico Vivona che, morto il 22 luglio di quell’anno a Palermo, dove si era recato per curarsi, fu in detta casa trasportato onde ricevere, prima delle esequie nella Matrice Chiesa e la sepoltura all’Immacolata, l’estremo omaggio dei concittadini. Negli anni 50-60 del secolo scorso, il suo grande giardino, col nome di Arena Italia, fu usato come cinema all’aperto, mentre il palazzo fu adibito, con lo stesso nome, ad albergo. Prima di essere acquisito dal Comune, l’immobile era proprietà degli eredi Bonagiuso.
L’edificio si sviluppa in due ordini: nel primo, il portale, con arco leggermente ribassato, è incorniciato da due coppie di colonne tuscaniche, alquanto distanziate, poggianti su alti basamenti; in alto, un fregio a metope e triglifi, sorretto dalle dette colonne, corre lungo la parte centrale della facciata, demarcando i due ordini e sostenendo un balcone con tre aperture (oggi è tompagnate) architravate e sormontate da cornicione con decorazioni a stucco; in alto, un fregio, costituito da una fascia di stucco, a rosoni, oggi perduti, definiva orizzontalmente il secondo livello; un timpano concludeva la parte più alta. Oggi, buona parte del secondo ordine è stato scalpellato ed alcuni degli elementi appena descritti non sono più visibili.
L’ingresso dà accesso ad un ampio androne, con due grandi archi, che immette a un cortile chiuso da un doppio portico a tre fornici, sorretto da sei colonne centrali e da paraste laterali, entro cui si diparatano le due rampe di scale che danno accesso al piano superiore. L’effetto scenografico dell’iniseme, pur nella limitatezza dello spazio, fu ben colto dall’Hittorf che così, nell’opera dianzi citata, lo descrive: “Le joli motif du double porche qui s’élève dans la cour de ce palais, l’effet des colonnes dont il se compose, le parterre orné de fleurs, la terrasse couronnée de treilles, qui occupent le fond des arcades, le jeu des lignes des deux escaliers, toute cette disposition sorprende d’autant plus par son résultat, qu’elle est circonscrite dans une largeur de moins de 17 pieds”.
Al primo piano, riscontriamo ambienti comunicanti tra di loro ma non più organicamente collegati. Nei vani del piano terra, a destra, sono interessanti alcuni robusti archi.
Per alcune analogie, ravvisabili sia nel prospetto sia nella impostazione dell’androne, il palazzo Pavone richiama quello dei marchesi Natoli in Palermo .
Francesco Saverio Calcara
AUTORE. Altre Fonti
Apprendo con piacere che il Sindaco ha dato disposizione che sui cartelli indicatori del nuovo spazio polifunzionale sia riportata la dicitura “Palazzo Pavone – Arena Italia”.
meno male…….così Castelvetrano potrà finalmente cambiare!
E intanto le borgate marinare e i quartieri della nostra cittadina languiscono abbandonate a se stesse.
Vito P.
E non ho aggiunto: “parbleu!”.
Vito P.
Ma è mai possibile che c’è sempre qualcuno che, come suol dirsi, deve fare la pipì fuori dal vasino? Si inaugura una bellissima opera pubblica, necessaria al centro storico, si recupera un palazzo, si recupera un pezzo della memoria e ci deve essere sempre il solito scienziato che deve a tutti i costi contestare. Il prof. Calcara ha fatto una semplice e opportuna puntualizzazione, ma che ce’entrano le borgate e i quartieri abbandonati? Ma davvero c’è da dire parbleu!
Caro Vito, ma di quale contestazione parli? Ma di quale vasino (che immagine carina e fine), ma soprattutto di quale scienza ti stai preoccupando. Trovavo semplicemente esagerato, nel momento critico in cui viviamo, la puntualizzazione storica del Prof. Calcara, di cui si riconoscono le doti di storico e di uomo di cultura, a cui chiedo di occuparsi, nei suoi studi, anche delle borgate e dei quartieri abbandonati della nostra città.
Il senso dei commenti deve essere allargato, il pensare diverso non deve esser sempre inteso come contestazione.
L’esagerata enfasi della riapertura del Palazzo Pavone o della Arena Italia era l’unico scopo del mio umile commento.
Grazie,
Vito P.