Quante persone c’erano alla commemorazione del 19 luglio?
Per la prima volta dopo diciassette anni, è diventata una domanda poco sensata.
Poco sensata perchè a richiamare le persone da tutta l’Italia, stavolta non è stata una commemorazione, ma una manifestazione. Anzi, tre: la marcia delle agende rosse del 18 luglio, il corteo del 19 e il presidio di solidarietà ai magistrati al palazzo di giustizia di lunedì 20.
Per i media ufficiali è stato un gioco da ragazzi mischiare le tre giornate e confezionare un messaggio originale: “meno di 300 persone a ricordare il giudice Borsellino“.
D’altra parte i telegiornali devono sintetizzare, non c’è tempo per approfondire. A meno che non si tratti del raffreddore dell’attore dei film di Henry Potter: lì i servizi c’erano e duravano anche tanto.
Questo video è dedicato al primo giorno: il 18 luglio.
Quel giorno si è avuta la netta impressione di cominciare a sentire le prime essenze di quel fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo Borsellino. Prime essenze portate da tutta quella gente che dalle varie regioni d’Italia è arrivata a Palermo coi propri soldi e che, pur avendo il mare a due passi, ha preferito salire sul monte Pellegrino alle tre di un infuocato pomeriggio palermitano. Cinque chilometri a piedi con un’agenda rossa in mano, per chiedere verità e giustizia, fino al castello Utveggio. E’ da quel castello che partì il segnale di morte per Paolo Borsellino e la sua scorta. Una dura salita resa più lieve da una più matura indignazione, distante dalle lacrime e più vicina alla rabbia e alla voglia di chiarezza su una strage di Stato. Una strage che vide l’eliminazione di chi si era messo di traverso rispetto a quella folle trattativa tra mafia e Stato.
Ma chi sono i mandanti occulti di questo scempio?
Chi li sta coprendo oggi?
Perchè, lo scorso 20 luglio, su “Il Giornale” di Berlusconi qualcuno scrive:
“La strage di via D’Amelio presenta degli aspetti di mistero, ma solo nell’ambito di Cosa nostra”, “altro che trattativa tra Stato e mafia che qualcuno adesso sostiene che lui aveva scoperto”, “Non hanno creduto al padre, Vito Ciancimino, mafioso di tutto rispetto”, “e ora invece credono al figlio”, “il vero mostro è questa antimafia pirandelliana”.
Chi è questo qualcuno che scrive?
E’ Lino Jannuzzi, ex senatore di Forza Italia.
Ottima penna, tanto da sucitare l’interesse di due “grandi editori”: il boss Giuseppe Guttadauro e l’amico mafioso Salvatore Aragona. Intercettazioni ambientali hanno infatto rivelato che quest’ultimo avrebbe segnalato Jannuzzi al boss: “Ha scritto un libro contro Caselli e un libro pure su Andreotti ed in è in intimissimi rapporti con Dell’Utri”.
La risposta di Guttadauro: “Jannuzzi buono è!”.
Egidio Morici
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