Manifesti, pensieri sui bigliettini appesi all’albero, poesie e canzoni, sorrisi e rabbia. Giovani, anziani, bambini. E’ anche una festa. La festa dello zio Paolo.

Rita Borsellino abita lì, in via D’Amelio. Il minaccioso Castello Utveggio, da dove forse è stato premuto il pulsante del telecomando che ha fatto esplodere l’autobomba, lei lo vede ogni giorno dalla sua camera da letto. Un castello rosa, un tempo protagonista di storie fantastiche raccontate alle nipoti, oggi diventato uno dei simboli più inquietanti della strage in cui persero la vita il fratello Paolo e i ragazzi della sua scorta.

“Abbiamo avuto tante bugie che sembravano verità – dice Rita Borsellino – Oggi ci sono delle verità che qualcuno preferirebbe fossero bugie”.

Una rabbia costruttiva, espressa con la pacatezza di chi, rifiutando la solita guerra di cifre sul numero dei manifestanti, guarda alle persone. Anche a quelle che non manifestano, che si trovano nelle loro case con le loro famiglie e che “hanno il diritto, dopo diciotto anni, di vivere questa giornata come meglio credono”.

“Ci siamo o non ci siamo – ha aggiunto la Borsellino – viviamo secondo quei valori che ci sono stati trasmessi e che noi abbiamo voluto fare nostri”.

Egidio Morici

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