“Fino a qualche settimana fa nessuno avrebbe immaginato di dover vivere il Natale in un’atmosfera di grandissima incertezza per il futuro e di dover fare i conti un quadro finanziario ed economico pieno di incognite drammatiche.

Solitamente, in questo periodo, nel passato, si indugiava in pensieri belli e sereni, che mettevano da parte le angustie della vita ordinaria. Quest’anno non si può.” Cosa dire, allora, per non perdere il senso di questo evento liturgico?

Nello stesso tempo come celebrare un Natale diverso in assenza di prospettive e con una speranza messa a dura prova? Io penso che il quadro che stiamo tentando tutti di capire e accettare, con ragioni di fondata perplessità, ci offra anche un’occasione unica per preparare un Natale autentico, con poca poesia e sentimentalismi, ma con tanto realismo e verità. Infatti, la nascita del Signore Gesù non fu accompagnata da sfarzo, luminarie, regali, pranzi e cene; tutt’altro.

L’ingresso del Figlio di Dio nel nostro mondo fu accompagnato da lontananza dalla propria casa, da accoglienza rifiutata, da mancanza del necessario, dalla freddezza – anzi dall’ostilità – dell’autorità locale, dal riconoscimento degli ultimi e dei lontani. Dio entrava nel mondo, sua creatura, per salvare l’uomo, rovinato dal peccato, ma solo pochi se ne accorsero; venne tra i suoi, ma essi non lo riconobbero e non lo accolsero (cfr Gv 1,10-11); nacque da una donna e fu deposto in una mangiatoia, “perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7).

Il Signore del mondo nacque come la più indigente e miserabile creatura, pagando un prezzo incredibile per amore degli uomini. Questa verità, cantata tutti gli anni a Natale (“Ahi quanto ti costò l’avermi amato”), forse inconsapevolmente l’abbiamo messa tra parentesi. Oggi, invece, travolti da un’ondata di povertà reale impensata e richiamati alla dura realtà dei sacrifici da accettare, probabilmente riusciremo a capire più in profondità il mistero dell’incarnazione e nello stesso tempo potremmo aprirci con maggiore disponibilità all’incontro con i poveri, gli ultimi, gli emarginati che ci stanno accanto, da accogliere, capire e aiutare.

Il nostro Natale 2011 sia, allora, un pellegrinaggio nella fede verso la mangiatoia di Betlemme per lasciarci ammaestrare dalla povertà che accompagna il mistero di Dio che si fa uomo, venuto per servire e non per farsi servire (cfr Mc 10,45). Egli, infatti, ci spinge a dare alla nostra vita una svolta di essenzialità e di sobrietà nel momento in cui ci vengono imposti sacrifici pesanti. Inoltre, ci avvia verso la condivisione affinché la povertà diffusa diventi comunione solidale con chi ci sta accanto, povero ed emarginato. Forse un Natale vissuto così non sarà tanto gratificante sul piano del sentimento, ma sarà molto credibile sul piano della verità e della fede. Assicuro a tutti la mia vicinanza e il mio affetto e auguro un Natale di pace e di fraternità.

Mons. Domenico Mogavero
Vescovo della Diocesi di Mazara del Vallo

AUTORE.   Mons. Domenico Mogavero