Si è suicidato in carcere, a Torino, Giuseppe Clemente, 44 anni, di Castelvetrano, insospettabile imprenditore che ebbe un ruolo preminente nei «gruppi di fuoco» dei corlonesi di Totò Riina nel trapanese, condannato all’ergastolo in via definitiva dalla Cassazione nel febbraio del 2004 insieme a Matteo Messina Denaro, ultimo padrino di Cosa Nostra ancora latitante, nell’ambito del maxi processo Omega.
Clemente si è suicidato, impiccandosi con un lenzuolo ad una finestra, in un bagno del reparto Sestante, la sezione di «osservazione e trattamento psichiatrico dei detenuti», dove era ricoverato dal febbraio scorso. Soffriva di disturbi della personalità a causa di una forte depressione ma negli ultimi tempi sembrava stesse meglio e stava per essere dimesso. Aveva chiesto di andare agli arresti domiciliari ed era in attesa di una risposta dal Tribunale di Sorveglianza. Il suicidio è avvenuto nonostante il reparto fosse controllato da telecamere.
L’ inchiesta che aveva portato all’ergastolo Giuseppe Clemente prese il via dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Patti, affiliato alla famiglia mafiosa di Marsala. Le sue rivelazioni consentirono di fare luce su una sessantina di omicidi ordinati da Cosa nostra e commessi nel trapanese dal 1960 al 1990. Pino Clemente, l’ex sicario delle cosche trapanesi morto suicida in una sezione del carcere torinese, era indicato come esponente della mafia belicina e faceva parte del clan dei Messina Denaro capitanato prima dal vecchio boss Francesco e ora dal figlio Matteo.
Era stato condannato all’ergastolo per una serie di omicidi tra cui la «lupara bianca» di tre presunti mafiosi a Partanna (Tp) e l’uccisione dell’ imprenditore Giuseppa Piazza e dell’operaio Rosario Sciacca. Quest’ultimo era estraneo a fatti di mafia ed era un dipendete di Piazza.
AUTORE. Altre Fonti