Che il boss Matteo Messina Denaro sarebbe stato tutelato per lunghissimo tempo da persone conosciutissime dalle Forze dell’ordine è un fatto che «disorienta». Così ieri, nero su bianco, ha scritto il gip del Tribunale di Palermo Alfredo Montalto nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere Laura Bonafede. A oggi l’insegnante di Scuola materna sospesa, figlia del boss defunto Leonardo, è l’ottava pedina caduta della rete di protezione che ha assicurato una «normale esistenza» al boss durante la latitanza. Matteo Messina Denaro, si scopre sempre di più, per la sua latitanza non si è affidato a soggetti sconosciuti e inimmaginabili.

La famiglia Bonafede è conosciuta alle Forze dell’ordine. A partire dal padre Leonardo (scomparso qualche anno addietro) che fu reggente della famiglia di Campobello di Mazara e amico di Francesco Messina Denaro, padre del boss Matteo. Ma c’è anche il marito di Laura Bonafede, Salvatore Gentile che sta scontando l’ergastolo in un carcere della Sardegna. Dunque soggetti finiti sotto controllo anche in diverse operazioni delle Forze dell’ordine che si sono susseguite negli anni proprio tra Campobello e Castelvetrano, «senza che, tuttavia, sia stato possibile acquisire altro che non labili tracce della presenza del latitante».

Il gip Montalto è duro tra le righe dell’ordinanza: «Le investigazioni conseguite a tale arresto destano (sempre più) sconcerto perché mettono in luce l’incredibile e inspiegabile insuccesso di anni e anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Campobello e Castelvetrano». Un pezzo di provincia di Trapani definito ad alta densità mafiosa, «costantemente setacciato e controllato con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza in tutti i luoghi strategici che, tuttavia, non hanno impedito al latitante di vivere una “normale” esistenza», scrive ancora il gip.

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