La biancheria intima femminile ha sempre provocato scariche elettriche sul sesso forte; per questo motivo essa è stata sempre una dolce arma in mano del sesso debole, usata per neutralizzare e far cadere ai suoi piedi lo scapolo più duro.
Intorno agli anni ’40 le nostre nonne usavano le gonne e i vestiti larghi e lunghi fino alla caviglia; sotto portavano più di una sottana. Seguendo la moda, a poco a poco i vestiti si usarono più corti, ma il tratto di gamba scoperto non era mai visibile, perché coperto da spesse calze di lana o di cotone.
La sottana, terminante con un bel merletto, doveva essere appena più corta del vestito, in modo che non si potesse vedere. Quando un pezzettino di sottana fuoriusciva, anche per caso, stimolava subito l’occhio vigile del maschio virile.
Si sostiene che qualche donna lo faceva apposta per stimolare lo scapolo più incallito a farsi avanti per matrimonio e mandare in tilt tutte le sue difese . Per questo motivo era chiamata “la suttana cercamaritu”.
A quei tempi, però, mutande e reggiseno avevano soltanto funzioni igieniche, pertanto non erano curati per mettere in risalto le forme anatomiche del corpo femminile.
“La bustina o bustidda”, o per come qualcuno chiamava scherzosamente e ironicamente “pitturali”, era il reggiseno dei vecchi tempi; anche se adornato di merletti e ricami, la sua funzione non era quello di mettere in risalto l’anatomia del corpo, ma di schiacciarlo. Era, infatti, peccato e vergogna lasciare immaginare, attraverso le curve, la presenza provocante del seno, che avrebbe fatto giudicare poco seria quella donna.
VITO MARINO
AUTORE. Vito Marino