Il 1968 non si ricorda soltanto per il terremoto nel Belìce. Ma è ricordato anche come l’anno del mostro di Campobello. Almeno in paese, chi ha memoria ricorda ancora cosa avvenne di curioso in quell’anno. Indubbiamente il sisma che aveva colpito la Valle del Belìce determinò il trasferimento di moltissimi sfollati sulla costa. Insieme a chi era andato via dalle case pericolanti, nella frazione di Tre Fontane si riversarono anche moltissimi campobellesi che, per precauzione, lasciarono le loro case di Campobello, trasferendosi – seppur fosse inverno – nelle case “di mare”.

Tra questi ci fu anche Marisa Cusumano: la sua casa era vicino la torre saracena, a pochi passi dalla piazza. La signora Cusumano era fidanzata di Sino Messina (diventerà poi suo marito), già cronista del Giornale di Sicilia. Così ricorda con chiarezza cosa avvenne in quel tempo: «Una mattina dei muratori che stavano costruendo l’ultima casa del lungomare est vennero a cercare il mio fidanzato che, in quel momento, era a casa mia. Gli dissero che sulla spiaggia affioravano certe strane proprio di fronte a quella villetta in costruzione. Andammo a vedere e, scavando, affiorarono tantissime ossa di varie dimensioni e il teschio di un animale. Con la moto ape di uno dei muratori li portammo nel mio cortile, li lavammo e cercammo di ricostruire quello scheletro. Era lungo quasi quanto tutto il cortile, con le ossa dorsali più alte e una lunga coda che faceva pensare ad un rettile marino».

Il servizio del giornale “Tribuna illustrata” (1968) dedicato al mostro di Campobello.

Quello strano ritrovamento finì per diventare uno scoop giornalistico. Sino Messina scrive un pezzo sul Giornale di Sicilia: “Le scosse di terremoto hanno fatto riaffiorare un animale antidiluviano”. Da quel momento nasce interesse e curiosità e si inizia a parlare del “mostro di Tre Fontane”: «Casa nostra divenne in men che non si dica la meta di tanti curiosi, che pretendevano di trovare il portone sempre aperto, che si accalcavano tanto da distruggere le piantine più basse delle aiuole, che ci bussavano dalla porta principale se a ora di pranzo chiudevamo quella posteriore».

Nacquero le supposizioni più fantasiose e disparate su ciò che fossero quelle ossa: «Veniva gente da ogni luogo e, non sapendo dove fosse “il mostro”, andavano in piazza a informarsi al bar del signor Stallone (oggi “Torre dei Saraceni”, ndr) e qualcuno pensò bene di creare un’indicazione per facilitare le cose. Fu piantato un palo prima della torre con un cartello e una freccia con la dicitura: “Per il mostro”.

Il ritrovamento di un po’ di cartilagine a una vertebra disorientò tutti: non poteva essere, certamente, un reperto antidiluviano. Intanto il giornale La Tribuna illustrata dedicò una versione “fantasiosa” della notizia. Nel racconto fu anche coinvolto Vincenzo Croce, un signore che in piazza vendeva bruscolini, noccioline. «Il signor Croce – racconta la signora Marisa Cusumano – non aveva mai avuto una barca, ma il suo fisico possente, le sue braccia muscolose tatuate, potevano farlo scambiare per un lupo di mare. Egli si prestò volentieri e la settimana seguente apparve nella copertina di quel settimanale il disegno di un serpentone marino e una piccola barca vicina e anche la foto di Croce con una vertebra del mostro e la didascalia: “Io l’ho visto”».

La signora Marisa Cusumano.

Intanto la signora Cusumano custodiva ancora nel cortile della sua casa di Tre Fontane quelle ossa. Una foto della testa del “mostro” pubblicata in una posizione diversa incuriosì, però, i professori dell’Università di Palermo: «Non ebbero dubbi – racconta la signora Marisa Cusumano – e così dissero che il mostro di Tre Fontane era uno zifio e aveva due fratelli a Favignana».

Quella storia che per settimane aveva incuriosito tutta Italia venne, una volta per tutte, chiarita: «Alcuni muratori ci dissero che, nel settembre dell’anno precedente, il balenottero era stato trovato morto sul bagnasciuga e che, per evitare la puzza della decomposizione, era stato seppellito, lì dove poi fu rinvenuto». Quello trovato a Tre Fontane non era, quindi, il “mostro” ma era uno zifio: «Intanto la temperatura diventava sempre più mite, il sole splendeva e quelle ossa, che non attiravano più visitatori, attiravano invece le mosche e così furono messe in un sacco nero e portate via dai netturbini», conclude la signora Cusumano.

La copertina di “Tribuna illustrata”, il numero di febbraio 1968 dedicata al “mostro di Campobello”.

Il servizio del “Giornale di Sicilia” dove si chiariva cosa fossero quelle ossa ritrovate.

Una pagina tratta da “Fumetto verità” che alla storia del mostro di Campobello dedicò quasi dieci pagine.

In questa foto, tra gli altri, Sino Messina e la signora Marisa Cusumano mentre osservano i resti della testa ritrovata a Tre Fontane.

Curiosi e appassionati mentre osservano le ossa trovate in spiaggia e ricomposte nel cortile della signora Marisa Cusumano a Tre Fontane.

Vincenzo Croce, originario di Pantelleria, era venditore ambulante in piazza Favoroso a Tre Fontane: fu coinvolto dal giornalista come protagonista della storia.

La copertina di “Fumetto verità” (1968) dedicato al mostro di Campobello.

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