“Palermo, 7 Luglio 1854. Lo sbarco furtivo sul lido siciliano dei due fuoriusciti Giovanni Interdonato e Giuseppe Scarperia; la loro breve dimora a pie’ libero nell’Isola; i provvedimenti adottati dal Real Governo onde stringerli per ogni verso affinché l’ordine pubblico, guarentigia di riposato vivere alle tranquille popolazioni, non avesse a risentire menomamente gli effetti di sconsigliati proponimenti; il loro presentarsi agli agenti dell’Autorità tutelatrice dell’interna sicurezza: tutto questo non poteva non dar largo argomento alle fantasie di quella stampa periodica, la quale della cronaca contemporanea fa un romanzo inverosimile per poter meglio giudicare gli avvenimenti a seconda delle proprie passioni e dei propri interessi…”.
Tale l’incipit di un articolo che il filoborbonico “Giornale dell’Armonia” di Palermo pubblicava al n. 53 di quell’anno 1854; numero fortunosamente conservato nel nostro Archivio Storico Comunale che, nel corso di un’altra indagine, per caso mi è capitato tra le mani.
Spinto dalla curiosità, mi son dato a qualche altra ricerca che mi ha consentito, spulciando soprattutto gli appunti di Leonardo Centonze, di ricostruire una vicenda dimenticata della nostra storia risorgimentale, relativa al fallito tentativo esperito dal castelvetranese Giuseppe Scarperia di provocare, nell’estate del 1854, l’insurrezione della Sicilia contro i Borbone.
Fu lo Scarperia, dopo fra’ Giovanni Pantaleo, la figura più eminente tra i garibaldini castelvetranesi, caduta inspiegabilmente nel generale oblìo. Così lo descrive il Centonze in una sua nota manoscritta: “Animoso, intrepido, dall’impeto focoso, pieno di fede nella riscossa italica, si sentiva portato ai più arditi tentativi e alla realizzazione di cose grandi”.
Il suo ritratto fisico risulta, invece, da un bando inviato ai sindaci di Sicilia, il 2 giugno 1854, dall’Intendenza della provincia di Messina, dove il Nostro viene cognominato “Scarparia”: “da Castelvetrano, d’anni 26 circa, statura alta, capelli neri, occhi neri, senza barba, naso aquilino e poco rosso, carnagione pallida”. Un bel giovane, ardito e coraggioso, lo possiamo immaginare, il quale aveva cominciato prestissimo a cospirare contro i Borbone, tanto da ritrovarsi, dopo molte drammatiche vicende, nel 1854, esule a Malta. Colà, lo Scarperia strinse amicizia con un altro esule politico, tal Nicola Fabrizi, col quale progettò un temerario sbarco in Sicilia onde fare insorgere l’Isola contro i Borbone.
Nel piano furono presto coinvolti Francesco Savona e Giovanni Interdonato, esuli pur essi a Malta, i quali pare fossero in contatto con altri fuoriusciti italiani, rifugiatisi a Costantinopoli, in particolare con un certo Giorgio Arnò, i quali li avrebbero incoraggiati all’impresa. Sia come si vuole, la notte del 22 maggio 1854, Scarperia, Savona e Interdonato si impadronirono di una barca maltese e fecero rotta verso Messina contando di arrivare alla spiaggia di Ninfa Sicula dove sembra che dovessero attenderli altri congiurati siciliani. Tuttavia, a causa del mare grosso, i congiurati furono costretti a rinunciare a quell’approdo e pur di prendere terra riuscirono a raggiungere la spiaggia di Roccalumera, località nei pressi della quale si trovava la casa paterna di Interdonato.
Ma qualcosa dovette andare storto, giacché l’oculata polizia borbonica si mise sulle loro tracce e andò loro incontro sulla strada di Messina. Seguì uno scontro a fuoco, nel corso del quale un gendarme fu ferito, mentre i cospiratori riuscirono a sbandarsi per essere, comunque catturati, dopo qualche giorno. Pare che, in verità, fu il padre dell’Interdonato a convincere Scarperia e il figlio Giovanni (di Savona non si hanno notizie, e qualcuno sostiene che addirittura non pose piede in Sicilia), rifugiatisi nel bosco di Tremonti, a consegnarsi alle autorità, cosa che avvenne – secondo la versione ufficiale – il 7 giugno.
Lo Scarperia fu tradotto in Palermo, processato e condannato a 30 mesi di carcere. La portata dell’episodio fu ovviamente sminuita dalla stampa governativa che ne diede notizia in un trafiletto del “Giornale Officiale di Sicilia”, dove il fatto era definito come il frutto di un bugiardo e falso sentimentalismo politico, mentre con queste parole che, per correttezza e obiettività di informazione, riportiamo, il predetto “Giornale dell’Armonia” commentava la resa dei congiurati: “La mitezza e la umanità dei provvedimenti emanati dal real Governo furono eguali alla sollecitudine posta nello assicurare alla giustizia i due latitanti, rendendosi così un grande servigio alla tranquillità delle pacifiche popolazioni e un grande beneficio agli stessi incolpati, i quali, fidenti nella santità delle leggi, troveranno in esse la loro difesa o la loro punizione, come non andranno frustrati in quella intera fiducia che li condusse a far atto di piena sommissione alla suprema podestà che dal trono castiga perdonando”.
Comunque, espiata la pena, un provvedimento di polizia impose allo Scarperia il domicilio coatto a Trapani, da dove, con l’aiuto di due patrioti di quella città, tentò di fuggire impadronendosi di una barchetta. Ma anche stavolta il mare agitato, dopo nemmeno un miglio, sospinse l’imbarcazione ad infrangersi su uno scoglio. Raggiunti dalla polizia, i tre fuggiaschi furono arrestati e condannati a qualche mese di carcere. Scontata la pena, lo Scarperia fu costretto a risiedere come confinato in quella città, per essere di nuovo arrestato, nel dicembre 1858, insieme a Mario Palizzolo e Giovanni Ernani, con l’accusa di aver continuato a cospirare contro il governo borbonico.
Il nostro rimase in prigione fino all’aprile del 1860, giusto in tempo per arruolarsi come volontario non appena i Mille sbarcarono a Marsala. Grande parte egli ebbe nell’organizzazione delle squadre dei volontari castelvetranesi; e, in particolare, la squadra da lui comandata si comportò molto valorosamente e a Palermo nei combattimenti di porta S. Antonino e della Cattedrale, tanto da meritarsi il compiacimento di Garibaldi, il quale, il 1° ottobre 1860, alla vigilia della resa di Capua, lo nominava capitano sul campo e gli affidava il comando del battaglione dei “Cacciatori delle Alpi”.
Scarperia era poi insignito della medaglia d’argento al valor militare ed entrava, dopo l’Unità, a far parte dell’esercito nazionale col grado di capitano nel III Reggimento di Fanteria.
AUTORE. Francesco Saverio Calcara
Chi si è macchiato del crimine della conquista del ricco e florido sud, in accordo con i piemontesi, non merita di essere ricordato. Oggi siamo una colonia del nord grazie a questa scellerata unità che poi è stata, fin dall’inizio, una conquista vera e propria. Studiate la storia prima di pubblicare articoli simili. La nostra dignità calpestata e ricalpestata dai nordici prima e dai siculi ora.
Gentile professore, alla stessa maniera vorrei che si ricordasse Michele Montalto di Castelvetrano, soldato delle Due Sicilie, catturato dall’invasore piemontese e deportato nel primo lager della storia mondiale, Fenestrelle (che bei primati…), dove morì il 10 novembre 1866 a soli 25 anni. Altro che esilio.
Il prof Calcara ha solo raccontato dei fatti, riportando doverosamente anche il punto di vista borbonico.
Il prof. Calcara, di cui ho avuto la fortuna di ascoltare la lectio in occasione del 150esimo, ha doverosamente raccontato una storia di cui ha trovato documentazione. Non ha pronunciato nessun giudizio di valore, sicché sono del tutto strumentali e polemiche revisioniste di gente che parla solo per sentito dire.
Egregio cavalier Cerrati, Ella sa perfettamente quale è il mio personale punto di vista sul Risorgimento, su Garibaldi e sui Borbone. Ma chi fa storia – anche un modesto studioso locale come me – ha il dovere di raccontare i fatti “sine ira et studio”, come direbbe Tacito. Mi sono per caso imbattuto in una vicenda, di cui credo si era persa memoria, che riguardava un mio concittadino e l’ho semplicemente riferita sulla scorta dei documenti che avevo a disposizione, senza dare, come qualcuno ha giustamente osservato, giudizi di valore. Punto. Ho sempre avuto in uggia la retorica risorgimentale, ma non mi piace neppure certa retorica revisionista, promossa quasi sempre da gente che parla per luoghi comuni e per sentito dire. I fatti – come diceva il grande Edward Carr – sono lì, come la merce sul banco del bottegaio; lo storico li deve semplicemente raccontare senza nasconderli o amplificarli a seconda delle sue personali convinzioni.
Ribadisco comunque quanto segue:
1. Giudico un valore positivo l’Unità d’Italia;
2. Reputo, tuttavia, sbagliato il processo attraverso cui essa fu conseguita e critico fortemente la soluzione centralista imposta del Cavour;
3. Reputo ridicoli i sogni legittimisti di chi vagheggia impossibili restaurazioni di troni e anacronistici ritorni di dinastie;
4. Giudico positivo certo revisionismo, volto a dar conto delle ragioni dei vinti;
5. Credo fortemente nel valore delle autonomie locali e, nello specifico, della identità siciliana, che però gli stessi Borbone – non dimentichiamolo – mortificarono, decretando la fine del secolare Regnum Siciliae;
6.Credo che vadano giustamente onorati – a 150 anni – tutti coloro che combatterono, su vari fronti, in buona fede per un loro ideale. Tra questi c’era sicuramente Scarperia e, ovviamente, Montalto, soldato castelvetranese che non volle venir meno al giuramento prestato e che per questo fu internato a Finesteelle, dove morì;
7. Credo che la ricerca storica debba continuare ad occuparsi di tante vicende dimenticate per contribuire a creare un quadro più obiettivo e meno condizionato ideologicamente di un processo che, ci piaccia o no, ci ha fatto diventare italiani.
Cordialità.
Francesco Saverio Calcara
P.S. Ovviamente, lascio cadere ogni altra provocazione, alimentata, come spesso accade, da mala fede o crassa ignoranza. So bene di dover continuare a studiare, il fatto è che qualcuno nemmeno ha cominciato !
Professore, io non ho espresso dei pareri contrari a quanto da lei riportato. Il mio era un sollecito ad evidenziare un’altra vicenda di quei tempi andati, di chi aveva combattuto quell’unità decisa in tavoli certamente non italici. Dei protagonisti che materialmente la combinarono c’è già ampia pubblicità da oltre 150 anni. In merito a quanto da lei ribadito, non sono sicuramente io a volere certi “ritorni”, le dinastie le lascio agli esperti di genealogia. A me preme solo la verità storica, il perché e il come certe cose sono accadute e accadono. Il cavaliere è mio padre, molto più appassionato e legato alle vicende duosiciliane di quanto possa esserlo io, almeno per anzianità di dedizione alla lettura di libri e documenti. Saluti
Concordo in toto con il prof. Calcara. Specie per quanto ricorda al punto ‘5’. Quali 2 Sicilie? Quello fu un’ altra pagina amara del nostro passato. Basti ricordare, nel ‘Gattopardo’ le parole del principe Fabrizio di Salina, che pure viene presentato come parente del re Ferdinando di Borbone: ‘che saranno questi Savoia? Dialetto piemontese al posto del napoletano..’
Parliamo di un grandissimo romanzo, ma scritto 100 anni dopo, a lavaggio del cervello compiuto. E poi, lingua francese al posto del dialetto siciliano, visto che sua maestà savojarda parlava la lingua transalpina, mentre Ferdinando utilizzava di consuetudine la nostra lingua. Nel nostro passato ci sono pagine amare e pagine dolci, ma mai pagine tragiche come quelle del nostro presente, che si fonda su quell’unione decisa tra Londra e Parigi.
@annibale: io cito testualmente dal romanzo. E l’italiano parlato a Napoli all’epoca non era proprio quello di Dante o, meglio, di Ciullo d’Alcamo, come vedremo dopo. Lei forse vuol dire che in Sicilia si stava meglio sotto i Borboni? Sarà, ma questo solo con il senno di poi, forse. Di certo c’è che, all’epoca i siciliani si ribellarono ai borboni, che, dal canto loro, ci consideravano inaffidabili separatisti, tanto da non farci fare nemmeno il militare, e preferirono andare con i piemontesi ( che, montanari com’erano, non s’esprimevano certo nella lingua parlata a Parigi, nèèèè!!). Ho sempre pensato che, per noi, la cosa migliore sarebbe stata, almeno in principio, la Federazione auspicata da Salvemini, se non erro. Un Centro-Nord Savoiardo federato con un centro-sud borbonico, lasciando al Papa solo uno Stato Vaticano ridimensionato, a vantaggio del regno delle 2 Sicilie, che avrebbe acquistato Umbria e Marche. Fu per questo che non se ne fece nulla. Ad opporsi fu proprio il ‘beneficiario’, il devotissimo Francesco 2°, che alla proposta rispose: ( in napoletano ). ‘Ma stati pazziando? Chilla è robba d’o Papa!’ Alludeva alle Marche: Pio IX era nato a Senigallia. Mai il cattolicissimo borbone avrebbe fatto uno sgarro simile al Papa. A costo di perdere un regno. Garibaldi si mosse l’anno dopo.
Non ho mai detto che la citazione fosse falsa o falsificata. Per il resto stiamo diventando OT, qua si parla di un “ritorvamento” storico. Magari ne riparliamo in un dibattito storico, e a Castelvetrano non ne mancheranno.
‘OT’???
Caro Prof. Calcara,
interessante davvero dalpunto di vista squisitamente storico il ricordo dello Scarperia. La vicenda da spunti interessanti ad una querelle tra nostalgici borbonici (sic) e tutti gli altri, fautori della “unità d’Italia”.
Ma oggi sarebbe più interessante comprendere altri aspetti del tipo:
– C.Vetrano merita davvero il Dott. Pompeo all’ARS?
– con quale legge elettorale andremo a votare nel 2013?
– che avrà la forza,il coraggio e la determinazione di guidare il Paese nel grande sforzo per non farci allontare dall’Europa?
– cosa bisognerebbe fare per allontare dalla politica i corrotti, i collusi, i senza parola, i mediocri e far avvicinare invece gli onesti, i capaci, i meritevoli della fiducia dellla gente?
– quali sono gli sbocchi per favorire l’occupazione dei nostri giovani?
– quali metodologie la Scuola può applicare per migliorare il senso civico ed il senso di appartenenza dei nsotri giovani, favorire la loro fiducia nella preparazione e nello studio?
– etc.etc.etc.
Luigi
a Luigi, scusami ho sbagliato il nome, volevo parlare di altra persona.
”Reputo ridicoli i sogni legittimisti di chi vagheggia impossibili restaurazioni di troni e anacronistici ritorni di dinastie,,
Detto da un Cavaliere del SMOCSG è il massimo della credibilità e della coerenza…ihihih
Il massimo Consesso Civico dovrebbe intitolare una strada a questa figura del Risorgimento.
Non accetto lezioni di coerenza e di credibilità da parte di chi si nasconde dietro l’anonimato. A beneficio degli utenti, ricordo comunque che l’Ordine Costantiniano, di cui mi onoro di essere cavaliere di merito, nonché insignito di medaglia d’argento, è riconosciuto dalla Repubblica Italiana e non persegue alcun intento restauratore, dispiegando la sua attività nel campo della beneficenza, della ricerca e dell’approfondimento culturale, teso alla rivalutazione, sul piano storico, della dinasta dei Borbone, da cui esso promana; che, in quanto ufficiale di complemento e impiegato statale, ho prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica; che altro sono le questioni e le valutazioni di carattere storico-culturale, altro è il principio, per me fuori discussione, di cittadinanza e di appartenenza ad uno Stato che si chiama Repubblica Italiana; che in ogni caso il principe Ferdinando Pio, erede al trono delle Due Sicilie, donò, a suo tempo, parte degli Archivi dei Borbone allo Stato, e ha riconosciuto come legittima la successione dal Regno delle Due Sicilie alla Repubblica, nata dal referendum popolare del 2 giugno 1946.
Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se Ferdinando Pio non l’avesse riconosciuta la Repubblica Italiana. Quanto all’anonimato, negli Stati Uniti è considerato un diritto costituzionalmente garantito dal 1* emendamento .
A parte il nome, qualcuno ha notizie precise su Michele Montalto ? Chi sa a quale copro apparteneva, dove venne fatto prigioniero e quando, in che data venne “deportato” a Fenestrelle ? Se la data della morte è il 10 novembre 1866, Montalto sarebbe stato detenuto a Fenestrelle per sei anni, ma di queste detenzioni non ho mai trovato traccia. Sarebbe utile che, se esiste documentazione in proposito, venisse resa pubblica perchè su Fenestrelle circolano molte notizie “inesatte”.