Modernissimo. Un miracolo dell’imprenditoria locale”. Costruito in soli cinque anni dalla ditta Celi di Santa Ninfa per 40 miliardi delle vecchie lire.

20 anni fa.
L’ospedale di Castelvetrano era stato considerato tra “le opere pubbliche  più all’avanguardia dell’intero Mezzogiorno”.
Certo, ce n’era già uno, ma era vecchio. Meglio realizzarne uno nuovo.
L’allora vescovo di Mazara, Emanuele Catarinicchia, aveva benedetto i locali e l’allora senatore Vito Bellafiore ne aveva vantato i criteri di costruzione basati sulla più avanzata tecnologia.
Per il suo completamento ci vollero un’altra ventina di miliardi tra arredi e apparecchiature, con qualche “intoppo” fatto di arresti e centinaia di delibere sotto la lente d’ingrandimento dell’autorità giudiziaria.

Un ospedale con un potenziale di 314 posti letto e un’aria da eccellenza che lasciava immaginare schiere di illustri primari provenienti da Milano, Torino e Bologna venire in quel di Castelvetrano a prestare la loro opera e a “crescere” dentro una struttura-gioiello come l’Ospedale del Belice.

Oggi quell’ospedale ha subìto una paurosa evoluzione.
E la cartina tornasole di questo vecchio sogno diventato incubo è il Pronto Soccorso.
Dopo tutti questi anni (e tutti questi miliardi) dovrebbe essere il fiore all’occhiello della provincia di Trapani, invece no.
D’estate non c’è quasi mai l’aria condizionata.
Ci sono due sale visite, ma spesso c’è un solo medico.
E tre infermieri: uno in una sala visite, uno nell’altra e il terzo in accettazione.
In certi momenti, quello dell’accettazione alterna l’inserimento delle anagrafiche al computer con la pulizia del vomito del paziente in attesa.
L’astanteria è invece il limbo dove si aspetta sul da farsi. Ci sono persone che, anche se arrivate in ambulanza alle dieci e mezzo del mattino, hanno dovuto aspettare fino alle nove e mezzo di sera prima di essere ricoverate in reparto, mentre ai parenti tocca comprare pure l’acqua da bere.
Ci sono porte che  non si chiudono perché sono parzialmente scardinate, come nella stanza deposito farmaci.

Senza un numero sufficiente di medici e infermieri non si riesce a lavorare e può capitare di tutto.
Per esempio, durante l’estate scorsa, era stato ricoverato un paziente che aveva bisogno di una trasfusione di piastrine. Dopo l’agognato ritorno del messo, andato a prenderle a Marsala, l’infermiera ha potuto cominciare la  trasfusione. Ma c’è stato un imprevisto: ci voleva il suo aiuto per dei punti di sutura ad una bambina. Si è allontanata dalla sacca, ma nessuno ha avuto la possibilità di sostituirla e le piastrine sono andate a male. Si è perso troppo tempo.
E la sala operatoria? E’ chiusa da fine settembre: lavori in corso. Per le urgenze si va in Ginecologia. Ma la vecchia sala era rimasta aperta fino all’ultimo, anche mentre gli operai lavoravano nel corridoio di accesso. I pazienti arrivavano in barella e, dopo aver sfiorato i ponteggi dei muratori con le cazzuole in mano, aspettavano il bisturi del chirurgo. “Un miracolo dell’imprenditoria locale”.

Altro che fiore all’occhiello! Le continue logiche spartitorie con gli ospedali delle città vicine e le polemiche tra dirigenti, esponenti dell’Asp e sindacati, hanno finito per strappare a quel fiore tutti i petali, uno ad uno.
E a poco valgono i comunicati stampa dell’Asp sul concorso per nuovi dirigenti medici, quando l’estate del 2012 al Pronto Soccorso è sembrata a tutti (compresi i medici costretti a lavorare in solitudine) una specie di girone infernale.
Doveva essere il punto di riferimento di tutti gli altri ospedali, l’eccellenza locale dove mandare i pazienti più “difficili”. Invece no. A distanza di vent’anni è l’emblema di una pioggia di miliardi andata a male che si regge, come accade in quasi tutte le realtà del sud, soltanto grazie alla competenza e al senso di responsabilità di pochi.

Lo si capisce perfino dalle lettere di dimissione dei pazienti ricoverati.
In una si legge: “Si dimette con indicazione ad eseguire , nel breve termine, ECG – 24 ore, che non è stato possibile effettuare presso la nostra U.O. per guasto tecnico!!!”.
I tre punti esclamativi fanno capire quanto sia colma la misura. Non hanno nemmeno l’Holter. E non si è guastato certo l’altro ieri.
Una struttura così, di holter dovrebbe averne almeno quattro, invece al paziente non è rimasto altro da fare che prenotare l’esame al Centro Unico Prenotazioni. Gli propongono l’ospedale di Salemi. Tra un mese.
“Ma a me servirebbe urgente…”.
E allora ci sarebbe Trapani.
Risultato: tre viaggi. Uno per impiantare l’Holter, l’altro per restituirlo dopo 24 ore e l’altro ancora per andare a prendere gli esiti. Dopo una settimana. Tutto a spese del paziente, ovviamente.
Sono i piccoli effetti collaterali della razionalizzazione della spesa pubblica?
Difficile da credere.
Come i miliardi di vent’anni fa.
Difficili da dimenticare.

Egidio Morici
www.500firme.it

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