Pino Veneziano“La lotta di classe è sulu di li scarsi!”.
Questo è il pensiero che il cantastorie selinuntino Pino Veneziano aveva scritto sulla copia del suo disco “Lu patruni è suvecchiu!” per un ricco ingegnere con la tessera del Pci, che gli aveva chiesto una dedica.
Almeno è quello che troviamo a pag 33 del libro curato da Rocco Pollina e Umberto Leone, edito da Coppola, dal titolo “Di questa terra facciamone un giardino“.

Fantasie? Leggende metropolitane? Nient’affatto. A confermare l’episodio è lo stesso ingegnere, che dalle pagine di un periodico locale, ammette di averlo riferito personalmente ad uno degli autori del libro cd, tributo a Pino Veneziano.
Ed è proprio ad Umberto Leone, autore del capitolo del libro dove è descritto l’episodio, che l’ingegnere si rivolge, utilizzando come bacheca la pagina delle lettere al direttore, gentilmente concessa dal responsabile della rivista locale.

L’ingegnere, rivelando la propria identità, non sembra d’accordo col pensiero del cantautore Selinuntino impresso nella sua copia del disco e, pur riconoscendo la propria appartenenza alla ricca borghesia, scrive che non è vero che “la lotta di classe è sulu di li scarsi” ma che “si è da sempre dimostrato il contrario”, portando anche l’esempio della rivoluzione francese, alla faccia dell’enorme massa di contadini e operai che nella Francia del 1789 facevano parte del Terzo Stato.
Che allora la lotta di classe sia “sulu di li ricchi”? Misteri di un revisionismo storico curiosamente creativo.

Nel libro di Rocco Pollina e Umberto Leone si legge anche che molti anni dopo il curioso episodio della dedica, il ricco ingegnere si trovò a sostenere un candidato di Alleanza Nazionale.
Il nome dell’ingegnere del libro è Giovanni Santangelo e nella sua lettera cerca di chiarire anche questa faccenda, dicendo che “quel tal candidato non aveva e non ha bisogno di voci altrui per farsi sentire”, ma non rivelando se lui l’avesse sostenuto oppure no.
Ma chi era questo candidato?
Pare si trattasse dell’avvocato Giuseppe Bongiorno che, eletto al Senato della Repubblica nel 2001, evidentemente era riuscito a catalizzare anche l’attenzione di quell’elettorato disposto ancora a tenere in tasca una vecchia tessera del Pci e in mano una matita copiativa per segnare il simbolo di Alleanza nazionale. Insomma, la solita storia del voto al paesano, anche se del partito opposto.

Nella sua lettera però, l’ingegnere in questione, oltre a non entrare nel merito del cambiamento di rotta delle sue simpatie politiche (per carità, il voto è segreto), gioca all’attacco, scrivendo che “quel tal candidato di A.N.” è lo stesso che permise ad Umberto Leone di partecipare alle esposizioni di alcune fiere tra cui una – se non ricorda male – a Verona.
Se fosse vero, sarebbe interessante capire anche in che cosa possa essere consistito questo permesso, che requisiti avrebbero dovuto avere i potenziali espositori e quanti di questi siano stati favoriti da “quel tal candidato”. E’ evidente che solo dopo aver chiarito l’esistenza di questo presunto sistema, potrebbe avere senso parlare di coloro che ne avrebbero tratto beneficio.

Chi lo sa. Certo è che l’ingegnere, nella sua lettera, fa un po’ di confusione, quando per esempio scambia le firme a sostegno dell’appello per la salvaguardia e il rispetto del territorio di Selinunte, per delle firme a sostegno del libro.
Con tutto il rispetto per gli autori, è probabile che se non avesse contenuto l’appello, difficilmente il testo sarebbe stato sottoscritto da persone del calibro di Andrea Camilleri, Giuseppe Tornatore, Leo Gullotta, ma anche Corrado Stajano, Arnaldo Pomodoro, Marco Travaglio e tanti altri, che hanno messo il proprio nome per difendere una Selinunte “offesa dal tentativo di cementificazione incombente, (che) reclama il diritto a essere quel che è: un’oasi di pace e di cultura. Una Selinunte – si legge nel testo dell’appello – che potrebbe diventare coro, se unita alle altre voci della Sicilia che ne difendono il territorio violato dalle mafie e dai palazzinari”.

A questo punto ciò che colpisce è la quasi inesistenza dell’appello sui media locali. Fino ad oggi, radio, tv e giornali, non hanno dato molto spazio al testo dell’appello, come se la città non volesse parlare né del pericolo di cementificazione che incombe su Selinunte, né di una Sicilia violata dalle mafie e dai palazzinari. Addirittura, in una trasmissione radio dell’agosto scorso, è stato possibile parlare del libro-cd senza far conoscere né l’appello, né coloro che lo hanno sottoscritto. Curiosamente, nella stessa trasmissione, non è stato proferito neanche il titolo del libro, “Di questa terra facciamone un giardino”, ripiegando invece su qualcosa di molto meno scomodo come il sottotitolo: Tributo a Pino Veneziano.
Chi veniva intervistato in nome dell’associazione si è lasciato sfuggire questi macroscopici particolari? O piuttosto si è trovato invischiato in un faticoso compromesso da auto-censura per evitare che del premio Pino Veneziano 2009 non si parlasse affatto?
Insomma, siamo sicuri che questo libro abbia dato fastidio solo al ricco ingegnere con la tessera del Pci?

Egidio Morici
www.500firme.it

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