[di Giuseppe L. Bonanno – Storie di Selinunte] La grande Selinunte, più volte distrutta, abbandonata e riabitata, dopo l’invenzione del Fazello è stata oggetto di innumerevoli visite, viaggi, approfondimenti, ricerche e studi; ma, proprio per come è arrivata all’età moderna, ha fatto scattare, in tutti coloro che hanno avuto modo di vederla, il fascino delle rovine e, di conseguenza, l’idea di come avrebbe potuto essere questa città grandiosa nell’epoca del suo fiorire.

Selinunte, d’altra parte, è ancora oggi in parte sotto la sabbia; lentamente ogni tanto riemergono parti di essa. Come è ormai noto, la cosiddetta acropoli, anch’essa in qualche parte ancora non visibile, corrisponde a quella che fu la città dopo la prima distruzione o conquista da parte dei Cartaginesi, mentre nel periodo del fiorire ne rappresentava soltanto la zona nobile.

La città del popolo è ancora quasi tutta da scoprire. Inoltre, ciò che era visibile è stato, nel tempo, addirittura in parte saccheggiato e utilizzato come cava di pietre già squadrate per usi privati e pubblici, stravolgendo ancor più lo stato delle cose.

Tutto ciò ha fatto sì che artisti e studiosi l’abbiano immaginata e pensata per come hanno ritenuto dovesse essere, basandosi su quanto era alla luce, nonché sulla fantasia e sulla conoscenza di altre città antiche.

In questo senso, in particolare le tavole di Hittorff prima e di Hulot dopo danno della città una immagine, se non del tutto corretta, sicuramente grandiosa e affascinante. Anche chi ha rappresentato le rovine per come riteneva di vederle, ci ha lasciato immagini che spesso non collimano tra di loro, sia per le prospettive artistiche di chi operava, sia per il grado stesso di conoscenza di quanto veniva osservato, che influenzava notevolmente la mano degli artisti.

Vorremmo, con le immagini che presentiamo, dare un’idea di come Selinunte sia stata vista e immaginata, per come sembrava essere e per come sembrava essere stata, da parte di viaggiatori e studiosi dal XVII al XX secolo. Sono state, quindi, di norma,  escluse le fotografie e  gli studiosi contemporanei.

Le immagini utilizzate non rappresentano, ovviamente, tutto ciò che è stato prodotto nei secoli presi in esame, ma riteniamo che siano comunque una buona rappresentazione del vasto repertorio delle visioni selinuntine ***.

Degli autori presi in esame, si è focalizzata, in genere, l’opera che più di altre era dedicata a Selinunte, a condizione che contenesse illustrazioni; ci occupiamo di coloro che hanno “soltanto” scritto in altri nostri lavori.

Diamo inizio a questa nostra carrellata con due siciliani, contemporanei e dal nome simile, che diedero, ai loro tempi, un grande contributo alla cultura siciliana. 

 

Gabriele Lancellotto Castelli aut Lancillotto Castello

Gabriele Lancellotto Castelli, principe di Torremuzza, nacque il 21 gennaio 1727 a Palermo e ivi morì il 27 febbraio 1794; fu antiquario e numismatico, conservatore delle antichità di Sicilia e iniziatore, insieme al Principe di Biscari, dell’archeologia siciliana. Studiò nel Collegio dei Padri Teatini di Palermo; si interessò soprattutto della storia della Sicilia attraverso le sue antiche vestigia.

Il Torremuzza divenne uno dei massimi esperti dello studio dell’antichità nella seconda metà del XVIII secolo, tramite studi autodidattici, ricerche sul campo, acquisizioni di materiali archeologici, e approfondimenti di carattere epistolare con altri studiosi della materia[1]. Negli anni 1754-1755 ricoprì la carica di Governatore del Monte di Pietà di Palermo. Rinomato a livello europeo, il Torremuzza fu socio, dal 1784, dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres e, dal 1790, della Society of Antiquaries of London.

L’1 agosto 1778, con dispaccio reale, Ferdinando IV istituì la prima organizzazione statale della tutela delle antichità in Sicilia, riprendendo l’antica suddivisione dell’Isola in tre valli; la tutela del Val di Noto e del Val Demone venne affidata al principe di Biscari, Ignazio Vincenzo Paternò Castello[2], mentre quella del Val di Mazara al principe di Torremuzza, Gabriele Lancellotto Castelli[3]. I due nobili, con tale dispaccio, ricevettero l’ordine di redigere ciascuno una relazione o plano sulle antichità esistenti nel raggio d’azione di loro competenza e di prevedere le spese necessarie per la loro custodia e conservazione.

Ricevuta la nomina di Custode delle Antichità di Val di Mazara, il principe di Torremuzza si rese conto di non poter redigere il proprio plano poiché conosceva ancora poco le antichità di quei luoghi; per espletare tale compito, quindi, decise di compiere un viaggio presso le località di Agrigento, Segesta e Selinunte, in modo da poter riferire di cose osservate direttamente[4].

Il principe porterà, comunque, a termine l’incarico presentando il suo plano in data 3 luglio 1779, col titolo Relazione dello stato in cui trovansi i Monumenti di Antichità esistenti nella Valle di Mazzara una delle tre Provincie del Regno di Sicilia e de’ ripari necessarj alla Conservazione di essi, scritta per Sovrano Reale Comando da Gabriele Lancillotto Castelli Principe di Torremuzza[5].             Il paragrafo dedicato a Selinunte ebbe per titolo Tempj antichi trà le rovine di Selinunte; in esso il Torremuzza indicò la località geografica, al suo tempo denominata Terra delli Pulci. L’Autore proseguì citando la descrizione che ne fece il Fazello nel XVI sec., indicando, per completezza, i successivi studi di Cluverio, di D’Orville e di Pigonati. Continuò, sulla base delle Storie di Diodoro, riflettendo sulla potenza raggiunta dalla città in soli due secoli e mezzo di vita, per poi finire distrutta per mano cartaginese.

Dopo la descrizione dello stato attuale delle rovine e delle cave di pietre, Torremuzza afferma:

 

“Per la Conservazione di tali pregevoli Monumenti, comeche sono in campagna aperta, altro far non si potrebbe, che proibirsi rigorosamente di non muoversi di esse pietra alcuna, ne queste impiegarsi ad altre opere, come un tempo fù fatto, quando fabbricossi il Ponte sul Fiume Belici, che scorre ivi vicino, né altro riparo può darsi, poicché se si volesse spendere a ristorare, e rialzare tali fabbriche distrutte, e ridotte a mucchj di pietre entrerebbe una spesa di somma Considerazione[6].”

 

Per i suoi studi numismatici Torremuzza ottenne l’incarico di Direttore della Zecca di Palermo. Alla sua morte, fece dono di circa dodicimila volumi ai Padri Gesuiti, che gestivano quella che divenne poi la Biblioteca Nazionale, oggi Biblioteca Regionale di Palermo.

Tra le opere: Storia di Alesa (1753); Le antiche iscrizioni di Palermo (1762); Siciliæ populorum urbium regum et tyrannorum numismata (1767); Siciliæ et objacentium insularum veterum inscriptionum nova collectio (1769); Alla Sicilia numismatica di Filippo Paruta pubblicata da Sigeberto Avercampio correzioni, ed aggiunte (1770)[7].

 

L’opera con immagini di nummi di Selinunte è Siciliæ populorum et urbium, regum quoque et tyrannorum veteres nummi Saracenorum epocham antecedentes, Panormi 1781, 2 parti in unico volume[8], in folio; parte I, pp. 103 + 15 (fig. 1); parte II, Auctarium secundum, tavv. 107 + 9 (fig. 2).

Figura 1

Figura 2

Nella parte I, nelle tavole LXV e LXVI, sono riportate – fronte/retro – i disegni di 33 monete selinuntine; nella parte II, nella tavola VI, è riportata il disegno di un’altra moneta della città.

Il Mira, nel recensire l’opera, scrisse:

 

“Questa è la più ricca ed accurata collezione, che abbiamo, di siciliana numismatica, e presenta 107 tavole corredate di opportune illustrazioni delle monete generali e particolari dei popoli e dei principi anteriori all’epoca saracena.

Questa numismatica siciliana viene seguita dalle due seguenti appendici:

Ad Siciliae populorum et urbium, regum quoque et tyrannorum veteres, nummos Saracenorum epocham antecedentes auctarium primum, in fol. Panormi typis regii, anno 1789.

Ad Siciliae populorum et urbium, regum quoque et tyrannorum veteres, nummos Saracenorum epocham antecedentes auctarium secundum, in fol. Panormi typis regii, anno 1791.

Queste due aggiunte presentano 9 tavole la prima e 9 la seconda, e vi sono disegnate le monete nuovamente scoperte; per cui l’autore meritò somme lodi dai celebri Eckel, nella sua Doctrina nummorum veterum,  e Rasche, nel suo Lexicon universae rei nummariae[9].”

 

Il Torremuzza affidò a disegnatori professionisti la stesura delle tavole numismatiche per tale opera, realizzate sotto la sua direzione. Furono, quindi, aggiunte legende e contromarche, elementi per l’interpretazione degli esemplari descritti e studiati (fig. 3, 4, 5). L’obiettivo era quello di realizzare una trasposizione grafica dei singoli conî ai fini di una migliore catalogazione per i collezionisti[10].

Figura 3

Figura 4

Figura 5

 

Ignazio Paternò Castello

 

Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, nacque a Catania nel 1719 e studiò poi a Palermo nel Collegio dei Padri Teatini; fu antiquario e mecenate. Ristabilitosi a Catania nel palazzo di famiglia, implementando la passione per le antichità del padre, ottenne dal Senato di Catania nel 1743 la custodia del grande torso marmoreo di Giove impegnandosi a «erigere a qualsiasi costo un Museo»[11].

L’anno dopo il principe fondò l’Accademia degli Etnei. Nel 1748 ottenne l’autorizzazione a effettuare scavi a Catania e nel 1757 inaugurò il Museo di Antichità. Collaborò in seguito alle Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia, curate da Domenico Schiavo, pubblicate a fascicoli a Palermo negli anni 1755-56 e poi raccolte in volumi[12]; quindi, dal 1758, agli Opuscoli di autori siciliani, a cura di Salvatore Maria Di Blasi[13]. Nel frattempo, continuava ad arricchire le collezioni del Museo. Nel 1768, dopo essere stato autorizzato ad ulteriori scavi, riuscì a mettere dopo due anni allo scoperto il teatro e a stabilirne la pianta. Successivamente ritrovò l’anfiteatro e le terme. Ospitò nel suo palazzo molti illustri viaggiatori che lo citarono nelle loro opere. Morì a Catania nel 1786[14].

L’archeologo e numismatico fiorentino Domenico Sestini, tra i suoi numerosi viaggi, visitò anche la Sicilia,  dove fu custode della biblioteca e del museo del principe di Biscari[15].

Il principe di Biscari pubblicò, tra l’altro, il volume, di maggiore impegno, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia[16] (fig. 6), in occasione della sistemazione della strada regia che da Napoli arrivava in Sicilia, concepito come una guida archeologica per i forestieri[17].

Di Selinunte si tratta all’interno del Capo XV, dal titolo Sciacca, alle pagine 190-195 (fig. 7 ), facendo riferimento, tra i viaggiatori precedenti, in particolare al D’Orville.

Figura 6

Figura 7

Come detto a proposito del Torremuzza, l’1 agosto 1778, con dispaccio reale, Ferdinando IV istituì la prima organizzazione statale della tutela delle antichità in Sicilia, riprendendo l’antica suddivisione dell’Isola in tre valli (province); la tutela del Val di Noto e del Val Demone venne affidata al principe di Biscari, Ignazio Vincenzo Paternò Castello[18], mentre quella del Val di Mazara al principe di Torremuzza, Gabriele Lancellotto Castelli[19]. I due nobili, con tale dispaccio, ricevettero l’ordine di redigere ciascuno una relazione o plano sulle antichità esistenti nel raggio d’azione di loro competenza e di prevedere le spese necessarie per la loro custodia e conservazione.

Prof. Giuseppe L. Bonanno – Storie di Selinunte

*** Questa introduzione riprende quella pubblicata nel “Catalogo della Mostra Selinunte immaginata. Dal viaggio romantico al metodo scientifico”, CAM, Castelvetrano 2010, a cura dello scrivente e dell’arch. Angelo Curti Giardina.

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[1] Cfr. A. Crisà, G.L. Castelli, principe di Torremuzza, numismatico ed antichista ad Halaesa Archonidea, “LANX”, Rivista della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli Studi di Milano, a. II, n. 2 (2009), p. 116; A. Merra – G. Sarà, La grande stagione archeologica nella Sicilia occidentale: Gabriele Lancillotto Castello Principe di Torremuzza, in R. Camerata Scovazzo (dir.), Il mestiere dell’archeologo. La stagione archeologica nella Sicilia occidentale attraverso il Museo Salinas, Regione Siciliana, Palermo 2004, pp. 42-45.

[2] Il Principe di Biscari pubblicherà, inoltre, un volume relativo a tutte le antichità della Sicilia; vedi infra.

[3] Cfr. G. Pagnano, Le Antichità del Regno di Sicilia. I plani di Biscari e Torremuzza per la Regia Custodia. 1779, Arnaldo Lombardi, Siracusa-Palermo 2001, p. 19.

[4] Cfr. ivi, p. 23.

[5] Il manoscritto si trova oggi custodito presso la Biblioteca comunale di Palermo, ai segni 4Qq D 43; il testo è riportato in G. Pagnano, Le Antichità …, cit., alle pp. 189-210.

[6] Ivi, p. 198.

[7] Cfr. Gabriele Lancillotto Castelli principe di Torremuzza, Memorie della vita letteraria scritte da lui stesso, Barravecchia, Palermo 1804.

[8] L’opera è stata ristampata nella seconda metà del XX sec. dall’Editrice Epos di Palermo, con un testo introduttivo di Gabriele Ortolani di Bordonaro, dal titolo G.L. Castelli di Torremuzza e gli studi di antiquaria siciliana nel sec. XVIII.

[9] G.M. Mira, Bibliografia siciliana ovvero Gran dizionario bibliografico delle opere edite e inedite, antiche e moderne di autori siciliani o di argomento siciliano stampate in Sicilia e fuori, Ufficio tipografico G.B. Gaudiano, Palermo 1875, vol. I, pp. 197-198.

[10] Cfr. A. Crisà, G.L. Castelli, principe di Torremuzza, cit., p. 120.

[11] Cfr. G. Manganaro, Ignazio Paternò Castello principe di Biscari, s.v. in Dizionario biografico degli Italiani, vol. X, Treccani, Roma 1968.

[12] D. Schiavo (a cura di), Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia, 2 voll., Stamperia de’ SS. Apostoli per Pietro Bencivenga, Palermo 1756.

[13] Cfr. M. Grillo, Salvatore Maria di Blasi e gli “Opuscoli di autori siciliani”, estratto da “Archivio storico per la Sicilia orientale, a. LXXIV (1978), fasc. 2-3, Catania 1978; M. Randazzo, Gli Opuscoli di autori siciliani di Salvatore Maria Di Blasi. Un’immagine della Sicilia intellettuale della fine del sec. XVIII, in “Mediaeval Sophia”, semestrale dell’Officina di Studi Medievali, n. 15-16 (gennaio-dicembre 2014), Palermo 2014, pp. 189-204, in particolare la nota 9 di p. 192, dedicata a Paternò Castello.

[14] Cfr. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, II, Officio Tipografico Lo Bianco, Palermo 1859, pp. 172-78.

[15] Cfr. D. Sestini, Descrizione del museo d’antiquaria e del gabinetto d’istoria naturale del signor principe di Biscari, C. Giorgi ed., Livorno 17872.

[16] I. Paternò Castello, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, Stamperia Simoniana, Napoli 1781; poi I. Paternò, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, seconda edizione accresciuta di alcuni opuscoli e di rami, Tip. F. Abbate, Palermo 18172.

[17] Cfr. M. Grillo, Salvatore Maria di Blasi…, cit., p. 192.

[18] Cfr. G. Pagnano, Le Antichità del Regno di Sicilia. I plani di Biscari e Torremuzza per la Regia Custodia. 1779, Arnaldo Lombardi, Siracusa-Palermo 2001, p. 19.

[19] Vedi supra.

 

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