E’ stato un po’ come danzare con i narcisi, lasciarsi cullare dalle armoniose note musicali e farsi rapire dalla suggestione delle immagini proiettate sulla antica parete della corte del castello “Grifeo” di Partanna che incastona un bel portale medievale, catturato anch’esso dalle video proiezioni e reso protagonista involontario della scena di una triste e bella favola interpretata da Serena Sciuto, nell’estate del 2016.
In “Come è profondo il mare”, il messaggio culturale della rappresentazione scenica colpisce il pubblico frontalmente con un forte impatto di valenza sociale e di sensibilizzazione alla più potente e contagiosa sociologica pandemia planetaria che il mondo moderno sta vivendo: l’esodo biblico delle popolazioni del sud della terra.
Tema difficoltoso da affrontare e sul quale si accende spesso lo scontro fra diverse anime di moderni pensatori che si guerreggiano in bilico perenne fra l’eccessivo buonismo e l’irritante piglio xenofobo, in un confronto fra bianco e nero che non lascia spazio ad altro colore di tipo dialettico.
Serena Sciuto, invece, ha scelto di interpretare tutti i colori dell’arcobaleno e di dipingerli sulla tavolozza scenica del suo spettacolo musicale e teatrale liberamente ispirato al fenomeno dell’immigrazione, usando la inarrestabile forza della propria sensibilità umana e sociale e del linguaggio universale della musica.
Serena è riuscita a creare un “file rouge” fatto di brani di cover musicali, per legare insieme armoniose emozioni in grado di raccontare una malinconica storia di amore per la vita e per l’uomo, di qualunque colore sia la sua pelle o di qualunque parte del mondo provenga.
Attraverso le canzoni di altra sensibile interprete come Fiorella Mannoia come “Il viaggio” – “Se solo mi guardassi” – “Io non ho paura”, Serena ha scelto e cantato brani di Ivano Fossati come “Mio fratello che guardi il mondo” – “Pane e coraggio” e la significativa “Shalom” di Roberto Vecchioni.
Ma il momento di più profondo impatto emotivo, colorato di quel blu cobalto di quel mare profondo di cui ha narrato anche attraverso la sua voce fuori campo che guidava il numeroso pubblico presente ed estasiato, è stato nella sua intensa interpretazione del parlato di “A mare si gioca” di Nino Frassica.
Una struggente favola musicale liberamente ispirata al libro “Un giorno un nome incominciò un viaggio” di Angela Nanetti e Antonio Boffa, che è stato la fonte ideale di una rappresentazione scenica – opera prima – della regista ed interprete Serena Sciuto.
Serena non si è certo risparmiata nella realizzazione del suo progetto musicale, indossando per un momento, sulle note di “Rock” di Gianmaria Testa, una maschera bianca cerulea che ha nascosto metà del suo volto a simboleggiare l’ambiguità del volto della gente al fenomeno dell’immigrazione e la perdita d’identità nei visi di quei poveri disperati.
Si è accomiatata dal pubblico affidando l’ultimo messaggio di multiculturalità ad un disegno di un tatuaggio sul suo braccio, la nostra intimistica Serena Sciuto, dall’animo profondo come il suo mare Mediterraneo, ha proprio centrato il suo obiettivo artistico.
Un bel messaggio!
Franco Messina
AUTORE. Redazione