Ieri sarebbe stato il compleanno di Paolo Borsellino (70 anni, ndr): nessuno dei nostri “dipendenti” (vedi Napolitano, Schifani, ecc) lo ha ricordato, ma si sono fatti in quattro a ricordare e tentare di riabilitare una figura come Bettino Craxi.
Questa è stata la mia impressione leggendo le testate online, leggendo la prima pagina di alcuni quotidiani ed ascoltando alcuni telegiornali.
Addirittura il sindaco di Milano Letizia Moratti sceglie YouTube per parlare della proposta di dedicare una via della città lombarda a Bettino Craxi. Ma quale Paese è il nostro?
I NOSTRI EROI
Sandro Pertini
IL PRESIDENTE SENZA SCONTI, NEANCHE PER SÉ
di Maurizio Chierici
Sandro Pertini era simpatico, non sempre con i giornalisti. Nel luglio ‘74 Roma preparava le vacanze, ma il Pertini presidente della Camera minaccia di tenere aperta Montecitorio fino a quando non salta fuori l’elenco
di tutti i politici ai quali i petrolieri hanno pagato tangenti. Prezzo della benzina da gonfiare. La bomba era scoppiata a Genova e il gioco delle illazioni moltiplica per mesi i sospetti da un partito all’altro. Anche perché
l’incorruttibile Ugo La Malfa confessa di aver intascato un po’ dei 40 miliardi che hanno chiuso in galera Vincenzo Cazzaniga, vecchio presidente dell’Unione petrolifera. Mentre gli onorevoli sono pronti per mare e montagna, Pertini punta i piedi: vuole tutta la verità. Il massacro deve finire altrimenti non si parte. Ecco che “Il Borghese” (settimanale Msi ) aggiunge un sospetto in più, proprio quel Pertini furioso che rovina l’estate ai poveri deputati. Sbalordimento, mormorii, eppure con tanto fumo l’arrosto deve essere da qualche parte. Nessun giornale prova a capire cosa nasconde la lapidazione. Stavo lavorando a Roma, telefona Barbiellini Amidei, vicedirettore del “Corriere della Sera ”. Piero Ottone chiede di far chiarezza: Pertini colpevole o innocente? Cerco, ascolto e alla fine metto in fila voci e documenti che smascherano l’i nvenzione dispettosa. Alle 8 del mattino mi sveglia il telefono: “Sono Sandro Pertini, il suo giornale è l’unico a smontare la buffonata”. Fa piacere cominciare il giorno così. Ne parlo con Milano e la direzione suggerisce di provare un’intervista visto che Pertini rifiuta la domanda: davvero non chiuderà Montecitorio? Chiamo il presidente; voce squillante: “Per il momento preferisco il silenzio, ma se mi viene a trovare, è un piacere “. Ricomincia con ringraziamenti e amarezza. “Ma adesso preferisco tacere. E se proprio devo spiegare non parlerei mai con lei, né con altri del ‘Corriere’. Mi avete difeso, insomma, un favore. Sarebbe disonesto dirlo proprio a voi che siete dalla mia parte”. 36 anni dopo, una sera a guardare la tv.
Come siamo cambiati.
Enrico Berlinguer
IL DITO PUNTATO SULLA QUESTIONE MORALE
di Luca Telese
Di cosa va più orgoglioso? gli chiede Minoli nell’ultima intervista tv. Pausa. “Di non aver mai tradito gli ideali della mia giovinezza ”. La scelta di classe nel tempo in cui costava davvero. Nascere in una famiglia nobile di Sassari – bisnonno garibaldino, nonno liberale padre socialista – buttare tutto a mare per iscriversi al Pci sotto il fascismo. Finire in carcere per i moti del pane, è il 1944. “Adunata sediziosa”, 3 mesi, lettere serie dalla prigione al fratello Giovanni: “Impegnati nella lotta!”. Lui 22 anni, Giovanni 20, due ragazzi. Enrico Berlinguer non ha il fisico e il curriculum dell’eroe predestinato. Chiuso, minuto, testardo, viso che si illumina di sorrisi timidi ma rari. Però mostra carisma magnetico anche se fa le squadre di calcio sulla spiaggia di Stintino. A scuola va male in italiano, perde la madre a 14 anni, una malattia terribile: encefalìte letargica.
Legge libri proibiti – Marx, Bakunin e Lenin – nella biblioteca di uno zio. Liceo all’Azuni, quello della classe dirigente. Ma di sera corre in bicicletta –di nascosto dal padre – in campagna: riunioni clandestine con gli operai antifascisti. Alla Liberazione è segretario della Fgci: piace a Togliatti, ma dopo la orte del Migliore lo retrocedono: segretario in Sardegna. Torna al vertice, però: nel 1968 è vicesegretario del Pci e leader designato (il candidato sconfitto: un certo Napolitano). Nel 1968 è a Mosca, nemico dell’ortodossia brezneviana. Porta i compagni a discutere sotto un albero per non farsi intercettare: il primo grande strappo del Pci. Nello stesso anno il partito condanna l’inva – sione della Cecoslovacchia. Dice: “Sono comunista dalla punta dei piedi alla radice dei capelli”. Però un comunismo eretico e antisovietico. Sofia, 1973, un finto incidente. Il Kgb prova a farlo fuori, è salvo per miracolo: “È un attentato”, spiega. Ma il segreto regge vent’anni. Mosca, 1976, XXV congresso del Pcus: “Non può esistere socialismo senza democrazia”: è l’euro – comunismo (copertina su Time). Nel 1980 ai cancelli della Fiat: operai in sciopero, microfoni legati con lo scotch: “Il Pci è con voi”. Nel 1981, a Scalfari: “I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni… Esiste una questione morale ”. Duella con Craxi, fischi al congresso del Psi e battaglie contro (tutti) i missili. “Noi siamo convinti che questo terribile intricato mondo possa essere letto, conosciuto, interpretato, messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, e della sua felicità” . Muore durante un comizio a Padova, giugno 1984.
Paolo Borsellino
IL FILO NORMALE CHIAMATO GIUSTIZIA
di Sandra Amurri
C’ è un filo che lega la vita di Paolo Borsellino a quella di ognuno di noi. È un filo che non ha colore, che resiste al tempo, ai moderni tentativi di rimozione e delegittimazione perché è un filo che ha la forza della normalità. Paolo Borsellino non era un eroe dalle gesta impossibili e irraggiungibili, ottimo alibi per sentirsi dispensati dal vivere con la schiena dritta e il cuore a portata di mano. Paolo Borsellino è morto mentre stava combattendo una guerra giusta, ucciso da due eserciti – uno visibile e uno invisibile – uniti dallo stesso obiettivo: cancellare chi non si vende perché non è in vendita, chi si fa guidare di giorno dalla luce del sole e di notte dalla luce della luna. E come il sole e la luna è trasparente. Borsellino magistrato ha detto “no” a patti scellerati tra Cosa Nostra e lo Stato perché era semplicemente un magistrato. Tutto era normale attorno a lui. Normale la vita che conduceva. Normale la casa dove viveva. Normali gli amici. La sua famiglia è normale. I suoi figli sono normali. Come normale è ’esempio che ci ha lasciato in eredità. Un esempio che in un paese che brancola alla disperata ricerca di riferimenti e deve fare i conti con riabilitazioni forzate allo scopo di abbassare la soglia di moralità per potercisi rapportare, per potervi trovare deroghe per se stessi, assume una valenza eroica. Cosa ha fatto Paolo Borsellino di così straordinario per poter essere rinchiuso nello scrigno degli eroi? È stato un uomo che ha vissuto rispettando le regole di quel gioco che si chiama vita. È stato un marito che ha riempito di senso parole come fedeltà, rispetto, famiglia. È stato un padre che ha contribuito a educare i figli a non scegliere scorciatoie, a contare sulle proprie forze, a non diventare ostaggi ma donne e uomini liberi. È stato un bravo magistrato costretto a fare i conti con la disumanità senza disperdere la sua umanità. Quell’umanità che la domenica lo portava al Malaspina a giocare a carte con i ragazzi che lui stesso aveva fatto arrestare convinto che nulla avesse più forza dell’esempio per dire loro che n’altra vita era possibile. Borsellino non ha bisogno di riabilitazioni. La sua memoria è presente come la richiesta di verità e giustizia sulla strage di via D’Amelio.
Giovanni Falcone
CONTRO I BOSS FINO IN FONDO ANCHE DA SOLO
di Giuseppe Lo Bianco
Con sé portava sempre na frase di Kennedy: “Un uomo deve fare il suo dovere sino in fondo, quali che siano gli ostacoli, quali che siano le conseguenze; è questa la base della moralità umana”. Da uomo dello Stato Giovanni Falcone l’ha onorata fino alle 17.56 del 23 maggio 1992 dopo avere scoperto, per primo, il volto della Piovra, messo a nudo nel 1984 da 366 mandati di cattura che avevano colpito quelli che nessun organo dello Stato aveva mai osato colpire: capi mandamento, capi famiglia, l’esercito di picciotti, killer e gregari, il popolo di Cosa Nostra. Nel Pantheon civile dell’Italia di oggi, il suo è un posto in prima fila, conquistato all’inizio degli anni ’80 quando sosteneva, isolato: se il crimine è organizzato lo Stato deve esserlo ancora di piu. Il modello giudiziario era il pool sperimentato ai tempi del terrorismo, quello investigativo era importato dall’America: faceva spesso la spola tra le due sponde dell’Atlantico, nel giardino della scuola dell’Fbi a Quantico, in Virginia, un busto ricorda il suo sacrificio. Professionalità e meriti antimafia non gli bastarono per diventare capo dell’ufficio istruzione: il Csm gli preferì nel 1988 l’anziano Nino Meli regalandogli la prima amarezza della sua carriera e aprendo la stagione delle polemiche e dei veleni. E delle minacce: “Lei è il Maradona dei giudici – gli disse un giorno Michele Greco, il capo della Cupola – per fermarla bisogna farle lo sgambetto”. Lui lo sapeva di essere il primo della lista. La signora vestita di nero si presentò un pomeriggio di primavera avanzata, sull’autostrada Punta Raisi-Palermo. Fedele alle parole di Kennedy, Falcone ne completò il concetto attingendo alle proprie radici: “Sono un siciliano – disse alla giornalista Marcelle Padovani– per me la vita vale quanto il bottone di una giacca”. E aggiunse, spiegando i rischi del suo mestiere: “Si muore quando si è soli, o quando si è entrati in un gioco troppo grande”. Adesso che si rilegge la storia di quegli anni, forse si scoprirà che Falcone, motore nell’ultimo periodo della sua vita di iniziative antimafia senza precedenti ondivise da quel governo, almeno in quell’occasione non rimase solo.
Giorgio Ambrosoli
PER LO STATO “QUALUNQUE COSA SUCCEDA”
di S .A.
“Qualunque cosa succeda” scriveva l’avvocato Giorgio Ambrosoli a sua moglie. Parole che si toccano. E raccontano la storia di un uomo libero: la libertà di chi “è capace di affermare la propria libertà”. Di chi non conosce il volto del ricatto che rende schiavo più di mille catene. Di chi può restare libero “con se stesso, rimanendo coerente al proprio pensiero, alle proprie convinzioni. Con gli altri, quando ha respinto blandizie e ricatti senza neanche cercare protezioni ‘politic he’ nella consapevolezza che anche quelle potevano avere un prezzo” scr ive il figlio Umberto nel suo libro. Libero “nel senso più completo del termine, quello che include la consapevolezza del proprio ruolo. Non istituzionale, di commissario liquidatore, ma di uomo, di marito, di padre, di cittadino”. La libertà di non fuggire. Di restare al proprio posto con la convinzione che il coraggio, sia la prima qualità che garantisce tutte le altre. Della coerenza “con se stesso e ai valori nei quali credeva – all’unisono con mia madre nella vita familiare, professionale e sociale, ma anche quando da commissario liquidatore la tenuta di quei valori è stata sondata da proposte corruttive, dall’isolamento istituzionale, dalle minacce di morte”. Un uomo che per tenere dritta la barra della propria condotta” confidava sull’onestà, sul senso del dovere per “impedire un compromesso”. Un esempio da custodire gelosamente di fronte al denaro e al potere che tutto concedono e tutto giustificano, che restituisce dignità alla parola “Stato”. Uno Stato che dimentica uomini che come lui gli hanno dato un’anima e si affanna a dare un’anima a chi non l’ha mai avuta. “Papà non era mosso da un’ambizione di eroismo, né da un sentimento di martirio, né da spirito rivoluzionario: ha voluto, con le sue scelte, vivere appieno la responsabilità che si era assunto nell’interesse del paese. È rimasto l’uomo che voleva essere: quello che contribuisce, attraverso l’esercizio della propria responsabilità, a costruire il paese nel quale crescere i suoi figli”. Sono le parole che ci affida Umberto Ambrosoli, parole di pietra in un paese in cui l’interesse personale, l’assenza di responsabilità sono “virtù” che fanno grandi uomini piccoli.
Riabilitando un delinquente statale come bOttino craxi vogliono giustificare gli imbrogli e i furti del suo degno successore berlusconi… e le pecore italiane stanno a guardare …