Qualche giorno fa ci siamo imbattuti in un’insolita quanto bella notizia sul sito della Farnesina. L’ambasciata italiana a Copenaghen ha premiato una giovane ricercatrice di origini partannesi con un importante riconoscimento.

Abbiamo intervistato Claudia Nastasi chiedendole del premio ricevuto e, con l’occasione, le abbiamo chiesto della sua esperienza lavorativa in Danimarca nell’ambito della ricerca scientifica.

D: Claudia che premio hai vinto?

R: Sono onorata dall’aver ricevuto il Best young Italian Researcher in Danmark 2018 (Life Sciences), conferitomi dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – Ambasciata italiana in Danimarca. La premiazione è avvenuta durante la cerimonia per la celebrazione della Repubblica italiana presso l’ambasciata. Sono stata selezionata fra altri ricercatori per il proficuo lavoro scientifico condotto in Danimarca in questi ultimi anni.

D: Spesso si indica il sistema di istruzione scandinavo come il migliore, puoi confermare?
R: Gli stati scandinavi puntano molto sull’istruzione e la formazione dei giovani che rappresentano il futuro, finanziando al massimo la ricerca tecnologica e scientifica. La cosa che colpisce di più è la loro apertura ai gruppi interdisciplinari di studio, alla collaborazione che rende il processo educativo estremamente dinamico e la competizione costruttiva. Il sistema di istruzione italiano è sicuramente ottimo per i contenuti ma pecca nel passaggio dalla teoria alla pratica (mancanza di laboratori e di mezzi economici per migliorarsi).

D: Cosa significa esattamente lavorare in Danimarca? Che condizioni lavorative hai trovato?

R: Ho trovato un ambiente sicuramente poco accogliente, ma certamente più propenso al raggiungimento di obiettivi comuni, in modo efficace, e con il massimo rispetto per il lavoratore, il suo tempo libero e la cura della famiglia. Inoltre ricevo un salario adeguato al lavoro svolto e, da donna, sento di aver le stesse opportunità e condizioni lavorative di altri colleghi. Condizioni queste che non sempre si trovano in Italia!

D: Lo stile di vita scandinavo in cosa differisce da quello italiano?

R: Definirei lo stile di vita danese come uno stile di vita pascoliano: si distinguono infatti dagli italiani per la loro capacità di apprezzare i semplici momenti di vita. Gioiscono non solo per successi personali ma anche per quelli degli altri e per quelli comunitari. Danno un valore prioritario al bilancio lavoro/famiglia, tanto che, aldilà del loro impiego, esaurite le 8 ore lavorative, trascorrono il tempo libero con famiglia e amici. Apprezzo il loro stile di vita sano e sportivo, il senso del rispetto per l’ambiente attraverso scelte consapevoli su mezzi di trasporto pubblico e per il costante utilizzo della bicicletta (io stessa percorro in bici 8-10km in media ogni giorno!).

D: Se potessi consigliare qualcosa agli studenti che oggi cominciano il tuo stesso percorso di studio cosa diresti loro?

R: Sottolineerei subito una cosa: dimentichiamo troppo spesso di essere cittadini europei, non solo italiani, e la conoscenza della lingua inglese quindi diventa quasi un dovere. Consiglierei inoltre le esperienze all’estero perché, sebbene difficili e a volte problematiche, ci permettono di conoscere realtà lavorative sociali ed economiche oltre il confine nazionale. Infine, direi loro di non scoraggiarsi per eventuali sconfitte o fallimenti, servono a migliorarsi!

D: Adesso facciamo un gioco: se potessi scegliere qualcosa di italiano da donare alla Danimarca per migliorarla cosa sceglieresti? E cosa daresti di danese in cambio alla nostra penisola? 

R: Sicuramente il sole! L’inverno in Danimarca può essere molto freddo e buio quindi un po’ di luce in più non guasterebbe! D’altra parte credo che i siciliani siano persone capaci ed intraprendenti, mi piacerebbe che queste doti venissero meglio utilizzate, messe a disposizione per la crescita comune, per un futuro migliore, darei quindi loro il senso di responsabilità civica dei danesi.

D: Fai un bilancio della tua esperienza all’estero, osservandone il fattore lavoro e il fattore umano?

R: Sono soddisfatta del percorso professionale svolto ed in corso. Grazie alla mia esperienza all’estero ho sviluppato grande senso di indipendenza, una spinta a migliorare, a mettermi in gioco continuamente, ma anche a perdonare me stessa quando ho valutato male un progetto o quando ho sbagliato qualcosa. Inoltre, essendo da sola in un paese del tutto nuovo, la solitudine mi è stata compagna per molto tempo, ma l’ho superata diventando più socievole e partecipativa ad eventi sociali e culturali. Ho sofferto la mancanza di punti di riferimento umani e l’incontro/scontro con una lingua germanica.

D: Cosa ti manca della Sicilia?

R: La mia famiglia ed il profumo del Mediterraneo.

D: Cosa vedi nel tuo prossimo futuro?

R: Vedo grandi sfide perché auspicando un ritorno in Sicilia immagino che le opportunità lavorative siano scarse e la frustrazione sarebbe tanta; d’altro canto una permanenza in Danimarca mi impedirebbe di star accanto alla mia famiglia.

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Claudia Nastasi consegue con il massimo dei voti sia la laurea triennale in Scienze Biologiche (2009) che quella Magistrale in Biologia cellulare e molecolare (2011) presso l’Università degli studi di Palermo.

Per una maggiore crescita professionale e educativa si trasferisce a Bologna (2012) dove inizia il dottorato di ricerca nella scuola di Biologia cellulare molecolare dell’università.  Sviluppa il proprio progetto di ricerca grazie alla collaborazione fra i microbiologi del Dip. di Farmacia e biotecnologie ed il gruppo di medici e biologi dell’ospedale S.Orsola – Malpighi (Dip. di Oncologia Pediatrica). Durante i tre anni di dottorato conduce un anno di ricerca presso il Dipartimento di Microbiologia e Immunologia (ISIM) dell’Università di Copenaghen, nella quale tesse nuove collaborazioni e prende parte anche ad altri progetti scientifici.

Completato il periodo all’estero discute la tesi di dottorato nell’aprile 2015 a Bologna presentando dati sull’interazione fra il microbiota intestinale ed il sistema immunitario umano, dimostrando come un’alterata componente microbica intestinale possa contribuire allo sviluppo di patologie infiammatorie incontrollate e suggerendo come il microbiota stesso possa esser usato come braccio aggiuntivo a terapie mediche.

Subito dopo viene assunta a Copenaghen nello stesso dipartimento come Post-doctoral researcher (assegnista di ricerca), dove lavora attualmente.

 

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