Caro senatore Ignazio Marino, ho appena strappato la tessera del Partito democratico, tessera che avevo preso la scorsa estate per sostenere la sua candidatura alla segreteria del partito. Il dissenso con le ultime dichiarazioni di Massimo D’Alema non mi consente di restare all’interno del Pd un minuto di più. La classica goccia che fa traboccare il vaso, come si dice.
Per giustificare la sua linea politica, D’Alema ha ricordato Togliatti e l’articolo 7 della Costituzione, quello che accoglie i Patti Lateranensi di Mussolini all’interno della Carta repubblicana. A voler prendere le dichiarazioni di D’Alema seriamente, basterebbe ricordare le parole di Piero Calamandrei che nel 1947 scrisse che quei Patti Lateranensi “sono in contrasto (anche i ciechi lo vedono) colla costituzione della Repubblica”, e che quella “capitolazione” fu il risultato del “voltafaccia” dei comunisti.
Per prendere le dichiarazioni di Massimo D’Alema seriamente però si dovrebbe ignorare la storia di questi ultimi quindici anni, una storia tormentata ma che non può essere ignorata. Già nel 2001 l’economista Paolo Sylos Labini scriveva a proposito della Bicamerale (1997-1998) presieduta da D’Alema:
La legittimazione politica scattò automaticamente quando fu varata la Bicamerale: non era possibile combattere Berlusconi avendolo come partner per riformare, niente meno, che la Costituzione, con l’aggravante che l’agenda fu surrettiziamente allargata includendo la riforma della giustizia, all’inizio non prevista. E la responsabilità dei leader dei Ds è gravissima.
Qualche giorno fa il britannico Guardian – non un foglio bolscevico, esattamente – scriveva a proposito di Berlusconi: “i leader mondiali dovrebbero iniziare a prendere le distanze da un uomo come questo”. E tuttavia sarebbe ingeneroso e disonesto addossare la responsabilità politica per le drammatiche condizioni in cui versa oggi l’Italia solamente all’attuale capo del governo. In questi ultimi, tormentatissimi quindici anni, Massimo D’Alema è stato l’alleato principale di Silvio Berlusconi; dalla (fallita) Bicamerale alla (fallita) scalata alle vette della diplomazia europea, i due nemici inseparabili, di fallimento in fallimento, hanno lasciato dietro di sè solo macerie.
So che all’interno del Pd ci sono moltissime cittadine e cittadini moralmente e intellettualmente onesti, capaci e di buona volontà. Sono convinto che queste persone siano la stragrande maggioranza, sia tra gli iscritti sia tra i dirigenti del partito. Ma al punto in cui si è arrivati – e nel partito e nel paese – restare all’interno del Partito democratico significherebbe regalare un’immeritata foglia di fico a chi condivide le pesanti responsabilità politiche per la morte della Repubblica.
Mentre le scrivo, sto leggendo sulla stampa che ci sarebbero forti polemiche all’interno del Pd per le dichiarazioni di D’Alema (e di Latorre). Lo spettacolo non è certo edificante e le polemiche sono ormai davvero stanche e inutili e riflettono solo l’eutanasia del partito che avrebbe voluto essere democratico. Scriveva Bertrand Russell un secolo fa, “Il nocciolo dell’atteggiamento scientifico sta nel rifiuto di considerare i nostri desideri, gusti e interessi come la chiave per la comprensione del mondo”. Da uomo di scienza, non le sfuggirà l’importanza del metodo scientifico, anche in politica.
Le faccio i migliori auguri per il Natale e per il nuovo anno e chiudo questa lettera con le parole con cui Piero Calamandrei chiudeva quel suo articolo. Lo spirito del Natale passato.
Il realismo degli «ultimi mohicani»
Difficile dunque dire quale parte sia stata vittoriosa. Ma forse la vera sconfitta è stata, insieme colla sovranità italiana, la democrazia parlamentare.
Alla base della democrazia e del sistema parlamentare sta un principio di lealtà e di buona fede: le discussioni devono servire a difendere le proprie opinioni e a farle prevalere con argomenti scoperti, e i voti devono essere espressione di convinzioni maturate attraverso i pubblici dibattiti. Quando i voti si danno non più per fedeltà alle proprie opinioni, ma per calcoli di corridoio in contrasto colla propria coscienza, il sistema parlamentare degenera in parlamentarismo e la democrazia è in pericolo.
Proprio per questo il voto sull’art. 7 lasciò alla fine, in tutti i sinceri amici della democrazia, un senso di disagio e di mortificazione. L’on. Togliatti, in un articolo dedicato al partito di azione (sull’«Unità» del 2 aprile), ha espresso l’opinione che la fondamentale debolezza di questi «ultimi mohicani» consista nella mancanza del «senso delle cose reali, che dovrebbe invece essere ed è la qualità prima di chi vuole impostare e dirigere un’azione politica». Ma quali sono le «cose reali?». Qualcuno pensa che anche certe forze sentimentali e morali, che hanno sempre diretto e sempre dirigeranno gli atti degli uomini migliori, come potrebb’essere la lealtà, la fedeltà a certi principi, la coerenza, il rispetto della parola data e così via, siano «cose reali» di cui il politico deve tener conto se non vuole, a lunga scadenza, ingannarsi nei suoi calcoli.
Potrebbe darsi che i comunisti, quando hanno compiuto con estremo virtuosismo quell’abilissimo esercizio di acrobazia parlamentare che è stato il voto sull’art. 7, non abbiano calcolato abbastanza l’impressione di disorientamento e di delusione ch’esso avrebbe prodotto sulla coscienza del popolo ingenuo, che continua a credere nella democrazia. E non abbiano pensato che anche la delusione e il disgusto sono stati d’animo idonei a produrre nel mondo certe conseguenze pratiche, dei quali il politico, se non vuole andare incontro ad acerbi disinganni, deve tener conto come di «cose reali». [da: ART. 7: STORIA QUASI SEGRETA DI UNA DISCUSSIONE E DI UN VOTO, «Il Ponte», anno III, n. 4, aprile 1947]
Molto cordialmente,
Gabriele Zamparini, Londra
per Micromega
(lettera aperta a Ignazio Marino)
AUTORE. Gabriele Zamparini
Voi delPD dovete dirmi che differenza c’è tra voi e il pdl?
A Milano hanno il Duomo, noi abbiamo lu “fusu di la vecchia”
Se non era ancora chiaro, sono consociati da 15 anni. Sotto il pacchero del ricatto si fanno leggi ad personam e non si fanno leggi contro il conflitto d’interesse. Fatto fuori Occhetto, l’oligarchia del potere post-craxiano ha preso il comando e non lo molla più. E gli italiani, poveri illusi, combattono questa farsa della disputa tra sinistra e destra abbagliandosi di appartenere alla parte giusta.
Anch’io oggi ho buttato la tessera del PD ovvero i Poco Democratici.
Io abito a Roma e la guerra fratricida per le poltroncine della regione Lazio e’ appena iniziata.
L’ eta’ media dei partecipanti ai convegni e’ sulla 65ina o piu’ giovani se vogliono avere qualche promozione negli enti pubblici.
Sul sito del Pd tesseramento affermano che ll Partito Democratico
http://www.partitodemocratico.it/circoli/tesseramento.aspx
è il partito del nuovo secolo pero’ non specificano quale.
Che siano fermi al medioevo visto le lotte tra DALEMIANI E VELTRONIANI e MARINIANI (IGNAZIANI )per le roccaforti e il possesso del territorio?
La differenza c’è, certo è più facile distruggere che costruire, ma chi crede nella Politica come possibilità di cambiamento democratico deve continuare a ricercare soluzioni.
No al processo breve. No al legittimo impedimento. In una parola no alle leggi ad personam. Si al confronto ma, sia chiaro, solo a quello in parlamento e nelle commissioni, insomma quello che i cittadini possono vedere e controllare in prima persona. E’ questa la linea del PD, tracciata chiaramente da Pier Luigi Bersani a margine della conferenza sul clima tenutasi questa mattina.
A chi avesse ancora dubbi in merito ad un imminente inciucio il segretario del Pd chiarisce le idee: �A me la parola dialogo non piace e tanto meno la parola inciucio. Io preferisco parlare di confronto, di accordo o disaccordo nella chiarezza delle posizioni. E il posto giusto per il confronto e’ il Parlamento. A Natale si sparge lo zucchero, ma se alla Befana il Parlamento fosse invaso di leggi ad personam diventerebbe difficile discutere di riforme. Noi siamo contrari a leggi fatte per una persona sola, mentre siamo interessati alle riforme per tutto il Paese. Se poi oltre a quelle istituzionali potessimo discutere di quelle sociali sarebbe ancora meglio. Sarebbe un bellissimo segnale di apertura se potessimo discutere insieme sul mercato del lavoro dei giovani, che cosi’ non va, o sarebbe interessantissimo discutere sul sistema pensionistico per le nuove generazioni”.
A chi immagina stanze chiuse e accordi sottobanco con la maggioranza Bersani assicura: ”Non e’ in previsione alcun vertice politico. Il Parlamento e’ la sede giusta della discussione, in una civilta’ di rapporti. Noi siamo pronti a garantire questa civilta’, abbiamo le nostre idee, i nostri paletti li abbiamo messi. Quindi non c’e’ bisogno di diplomazie particolari; si deve ragionare alla luce del sole, anche perche’ c’e’ in giro troppo sospettismo”. Anche una nuova bicamerale � da escludere categoricamente: ”Abbiamo gia’ gli strumenti per il confronto – ha osservato lasciamo maturare le commissioni parlamentari, dove c’e’ gia’ qualcosa di maturo; io partirei di li”.
Non siamo una caserma, ma la linea � una. �E le posizioni di Massimo D�Alema allora?� chiedono i cronisti. “Siamo un grande partito e non una Caserma � � la risposta del leader democratico – Secondo le varie sensibilit� ci sono variazioni sul tema ma la linea e’ una ed � quella che vi ho appena descritto. Non voteremo il processo breve, n� il legittimo impedimento”.
Le riforma sono la priorit� assoluta, motivo per cui al leader Idv Di Pietro che invita il PD a non fidarsi, Bersani risponde: “Il confronto sulle riforme non e’ una questione di fidarsi o non fidarsi, altrimenti non si andrebbe da nessuna parte, oppure si dovrebbe andare dallo psicologo o dal confessore. A Di Pietro dico amichevolmente che chi pensa che le cose vanno meglio se non si cambia niente, dovr� ricredersi”.
ancora così, con l’antiberlusconismo, unico argomento usurato e boomerang, e lo vedremo regnare a vita!!! ca..volo! ma riuscite a capirlo! o no?
Professore, buon Natale, cosa ci consiglia?