Nuovi misteri si avvicendano sulla cattura del “superboss” Bernardo Provenzano e dell’ancora latitante Matteo Messina Denaro. Infatti, il maresciallo Saverio Masi, che ora è capo della scorta assegnata al pm Nino Di Matteo, capo dell’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, ha presentato una denuncia in cui racconta alla procura come le sue indagini su Provenzano e successivamente su Messina Denaro siano state bloccate dai Ros.

Il suo racconto ricorda quello del colonnello Michele Riccio, il quale dichiarò di essere stato ostruito dai suoi superiori nelle indagini legate alla cattura del boss di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano (catturato solo l’11 aprile 2006 in un casolare nelle campagne vicino a Corleone).

Secondo quanto ha riferito Masi, a partire dal 2001 il maresciallo aveva costituito una propria squadra al fine di catturare Provenzano, il cui covo ai tempi era probabilmente situato nei pressi di Ciminna. Ma le indagini di Masi furono bloccate e il maresciallo fu trasferito a Caltavuturo. Masi non si diede per vinto e continuò a condurre delle indagini da solo, arrivando persino a ricostruire i movimenti di Provenzano e Messina Denaro; ma una volta chiesto di poterli pedinare, ottenne solo l’ennesimo rifiuto. In un’intercettazione sarebbe addirittura spuntato il nome dell’ex- premier Silvio Berlusconi, che un mafioso italo americano avrebbe voluto invitare negli Usa per il Columbus day.

trattativa stato mafia

Il maresciallo Masi ha inoltre riferito fatti precisi e puntuali, come il ritrovamento di una macchina da scrivere con la quale Provenzano scriveva i famosi pizzini, o l’inserimento di cimici nel casolare in cui risiedeva il latitante. Tutti tentativi andati a vuoto, per volontà dei superiori, dai quali Masi si sentì dire: «Noi non abbiamo intenzione di prendere Provenzano! Non hai capito niente allora? Ti devi fermare!». Masi racconta pure di aver riconosciuto, camminando per strada a Bagheria, il “nuovo capo dei capi” Matteo Messina Denaro.

Masi chiese ai superiori di trasmettere comunque la relazione alla Procura. A distanza di anni non sa se l’hanno fatto. Quello che è certo è che nessuna microspia è stata piazzata sull’auto di Denaro. Masi tra poco affronterà un processo dove è accusato di tentata truffa per aver chiesto l’annullamento di una multa contratta con l’auto privata mentre svolgeva gli appostamenti.

«Usavamo le macchine di amici – aveva spiegato nel processo Mori – perché i mafiosi conoscevano le nostre auto di servizio». A difenderlo gli avvocati Carta e Desideri, gli stessi che ora lo assistono nella denuncia depositata pochi giorni dopo le minacce di morte al Pm Di Matteo. «Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo».

Dichiarazioni forti quelle del maresciallo Masi che sicuramente faranno discutere e tremare gli accusati. Si spera che queste nuove notizie emerse possano arricchire l’annosa indagine sulla trattativa stato-mafia, affinché i sacrifici di tanti magistrati onesti e dei loro collaboratori non siano stati vani.

Clara da Boit
per Il Moderatore

AUTORE.   Clara da Boit