Nell’autunno del ’92, Riina aveva deciso che sarebbe toccato a me, che avevo la colpa di essere stato esecutore del maxiprocesso di Falcone. Dovevano uccidermi col tritolo, a Monreale, mentre mi recavo a casa dei miei suoceri.

Trovarono difficoltà perché vicino al posto designato c’era una banca i cui sistemi di allarme interferivano coi timer mafiosi. Poi, a gennaio, arrivò la cattura di Riina e perciò sono qui a raccontare”. Così il presidente del Senato, Pietro Grasso, in un’intervista alla Stampa.

La guerra di mafia, vinta con la forza ma anche con la furbizia e la capacità di allettare taluni nemici a schierarsi al suo fianco, con la promessa di più soldi e più potere, è una chiara dimostrazione della sua attitudine al comando”, osserva Grasso Ora, “la mafia non finisce quando muore un capo e guai ad abbassare la guardia. Bisognerà stare molto attenti”, avverte Grasso.

Cosa nostra entrerà in una fase di transizione, si esprimeranno anche i vecchi boss che hanno finito di scontare il carcere, peseranno le alleanze tra le diverse famiglie che sono cambiate mentre Riina era in carcere”.

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