All’alba nello splendido scenario di San Domenico, il flamenco racconta i moti dell’anima. Chiostro di San Domenico – Domenica 28 LUGLIO, ore 5,45 – Regia di Debora Brancato

Attraverso le percussioni di Valeria Bottino e il movimento del corpo nello spazio scenico, la dinamica culmina nell’esplosione del ritmo percussivo dei piedi, delle mani e del corpo. La musica, il ritmo e la danza conducono lo spettatore in una ricerca itinerante e continua di emozioni, dove tutto diventa mezzo espressivo e poi racconto. Il racconto dell’andar via di un’anima che sceglie un altro luogo: il luogo delle emozioni, delle introspezioni, della creazione… e ne fa ossessivamente il suo mestiere e la sua arte.

Certo è che l’esilio conosce molte forme. Esilio dai luoghi, esilio da se stessi, esilio come perenne erranza, esilio come distacco dalla propria storia. Ed è certo che proprio i luoghi pregnanti di storia sono specchi dei distacchi.
Non a caso, dunque, un sostenuto andamento “migrante” si snoda lungo il complesso di san Domenico, che si affaccia sulla centrale piazza Regina Margherita. E le pietre, i muri e i monumenti all’alba diventano la naturale scenografia di un racconto d’esilio.

È un’alba superba quella che sorge sull’aggregato monumentale della Chiesa di San Domenico e dell’adiacente Convento dei Predicatori. Il complesso risale alla fine del XV sec. e fu commissionato dai Tagliavia, signori di Castelvetrano che portarono nella città il culto domenicano.
Il convento comprende un chiostro ricco di piante e colonne, e diversi spazi come il parlatorio, il refettorio, la cucina e le celle dei frati. Di straordinario pregio artistico la cosiddetta Cappella Sistina di Sicilia, cioè la chiesa di San Domenico, è un tripudio di stucchi e rappresenta uno degli esempi più significativi del manierismo siciliano in evoluzione verso il barocco.

Il prezioso repertorio decorativo è stato realizzato tra il 1574 e il 1580 da Antonino Ferraro da Giuliana,
capostipite di una nota famiglia di stuccatori e pittori. Incaricato dal “Magnus Siculus” don Carlo Aragona Tagliavia, Antonino Ferraro sviluppa un superbo programma iconografico, centrato, nel presbiterio, sulla celebrazione messianica. “È del Ferraro il fin la meraviglia…” potremmo a ragione ri-citare, perché il “far stupir” pare sia stata l’rrinunciabile sfida lanciata da Antonino Ferraro e dalla sua bottega non solo a Castelvetrano ma all’arte universale: un ricchissimo programma iconografico, che ricopre ogni minimo spazio di stucchi, cartigli, pitture e fregi, culmina con il capolavoro dell’Albero di Jesse, l’albero genealogico che da Jesse, padre di re Davide, arriva alla Beata Vergine Maria e che è possibile oggi ammirare in tutto il suo splendore, dopo l’importante restauro delle decorazioni plastiche e pittoriche.
Sull’onda emotiva della potente forza comunicativa del complesso di San Domenico, la performance Il ritmo dell’anima racconta, probabilmente, anche di un esilio dalla propria storia.

Di un andare via dal proprio passato più nobile, “con sorprendente meraviglia”. Di un esilio
volontario di una città, tutta o in parte… Come l’esilio di una zingara il cui costume è “mover
senza disegno il passo vagabondo”, con il cielo per tetto e per patria il mondo.

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