Ho ricevuto una educazione e una formazione che, per mia fortuna, mi mettono al riparo dalle provocazioni e mi consentono di guardare con olimpica serenità coloro che, lontani da qualsivoglia capacità argomentativa, riescono solo a prodursi in insulti o in palesi travisamenti dei fatti; sicché non ho inteso né intendo, neppure ora, rispondere loro, convinto come sono che a mettersi con gli imbecilli ci si perde sempre, giacché, come qualcuno ha detto, essi ti trascinano al loro livello e ti battono con l’esperienza.
Diverso il caso, in riferimento al mio intervento sul recente referendum, della replica del signor Vincenzo Noto, il quale, al di là della oggettiva scortesia del titolo (un “mare” di inesattezze è fin troppo evidente eufemismo di altra espressione più volgare che ciascuno ovviamente indovina), sviluppa un ragionamento che merita attenzione.
Mentre dal punto di vista giuridico costituzionale, non posso che ribadire la legittimità della posizione astensionistica che, lo ripeto sino alla noia, trova il suo fondamento nella lettera e nello spirito dell’art. 75 della Carta costituzionale; sull’aspetto tecnico, relativo alle mie “inesattezze”, ho invece ritenuto di dover compulsare quanto sostenuto in merito dal prof. Alberto Clò, docente di Economia applicata all’Università di Bologna, esperto di politiche energetiche, direttore della rivista “Energia”, che ho l’onore di conoscere personalmente, per il tramite di comuni amici romani.
Riporto quanto da lui sostenuto sulla vexata questio, non tanto perché appartengo al club di coloro che a tutti i costi vogliono avere l’ultima parola, quanto come apporto a un dibattito che, lontano dalle spinte emotive o dai pregiudizi ideologici, contribuisca ad accrescere la nostra conoscenza su un tema così importante come quello energetico. In Italia, si sa, la memoria è corta e la storia non insegna niente.
Grazie ai due referendum sul nucleare, svolti sull’onda dell’emozione dopo le tragedie di Cernobyl e Fukushima, ci troviamo nella paradossale situazione di dover acquistare a prezzo maggiorato energia prodotta nelle centrali nucleari dalla vicina Francia e Svizzera e ad avere sul nostro territorio centrali obsolete che, pur non producendo più energia, rappresentano tuttora il pericolo paventato dagli ecologisti e comportano lo smaltimento delle scorie radioattive. Stessa cosa, secondo Clò, sarebbe successa con le cosiddette trivelle. Innanzitutto, in pochi avevano chiaro il fatto che il referendum riguardava solo le installazioni già esistenti, mentre la possibilità di concedere nuove concessioni in futuro, con la relativa messa in opera di nuovi impianti, è già ad oggi vietata per legge.
In secondo luogo, lo studioso conferma che le piattaforme di trivellazione italiane, situate lungo le coste adriatiche e ioniche, estraggono quasi esclusivamente gas e non petrolio, quindi tutti gli scenari apocalittici con ondate di greggio che devasterebbero le nostre coste travolgendo pesci e gabbiani non hanno alcun fondamento realistico.
Nulla si dice, per contro, sulla questione di fondo: che impedire la produzione interna di petrolio o metano significa preferirne l’importazione, magari dalla Libia, finanziando le milizie in guerra; significa scegliere di versare miliardi di euro all’estero piuttosto che destinarli alla crescita interna; significa aiutare le imprese altrui a discapito delle nostre. E’ una mistificazione sostenere che estrarre petrolio sia antistorico, perché fonte ormai marginale nell’offerta mondiale di energia (con il metano conta per il 54%) e penalizzante le nuove risorse rinnovabili (2,4%), mentre si dovrebbe sapere che il primo viene utilizzato quasi solo nei trasporti e le seconde nella generazione elettrica.
Smantellare tutti gli impianti in oggetto costringerebbe a rinunciare immediatamente a circa il 65% del totale della produzione nazionale di gas fossili e questo fabbisogno di combustibile non sarebbe sostituibile in tempi brevi con altre fonti rinnovabili. Ci troveremmo, così, ad avere un aumento delle importazioni dall’estero con un duplice danno: aggravio di costi di importazione che peserebbero negativamente sulla bilancia dei pagamenti del nostro Paese e aumento dell’inquinamento prodotto dal maggior traffico di navi gasiere nei nostri mari. Alla faccia degli intenti ecologisti da gazebo.
Altri miti e leggende raccontati a margine del referendum vanno poi sfatati:
Il risultato non avrebbe minimamente influito sull’aumento o diminuzione dell’attività estrattiva del petrolio: infatti, in Italia non esistono giacimenti di questo fossile entro le dodici miglia dalle coste e la maggior parte di essi sono a terra.
Le Tremiti non saranno mai toccate da nessuna trivella: si trattava di uno studio di prospezione oltre le dodici miglia, la cui validità è scaduta per rinuncia della compagnia coinvolta.
Studi scientifici dimostrano che i terremoti non si collegano minimamente all’attività estrattiva poiché i sedimenti si deformano in maniera plastica al passaggio delle trivelle, ovvero il meccanismo opposto rispetto a quello che genera uno scisma, come ha dimostrato l’ISPRA.
Altra questione fondamentale è l’impatto economico locale: le Regioni coinvolte affermano, infatti, che le piattaforme danneggerebbero il turismo. Se andiamo a leggere i rapporti sul turismo nella riviera romagnola scopriamo che nel 2015 vi è stato un positivo incremento di circa 4 punti percentuali e le trivelle sono sempre state lì. Flessioni o crescite dei flussi turistici sono legati quasi esclusivamente a fattori atmosferici, economici e geopolitici (terrorismo in nord Africa, ad esempio). Al contrario, tenendo come esempio l’Emilia Romagna, la dismissione di tutti gli impianti comporterebbe la perdita di 6000 posti di lavoro in soli due anni.
Ovviamente, queste considerazioni non possono farci dimenticare che la strada da percorrere deve essere quella delle fonti di energia rinnovabili, ma esse ad oggi non sarebbero sicuramente sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale. Basti pensare che importiamo circa il 13% di energia elettrica dall’estero, senza considerare gli altri combustibili necessari e che, a questo dato, va aggiunto il fatto che i picchi energetici sono determinati da fattori climatici: durante l’inverno il fabbisogno di gas ed energia elettrica tocca le vette massime, seguito a breve distanza dai livelli estivi. Con stagioni sempre più “estreme” la domanda energetica nazionale non può che aumentare e il gas metano è considerato il combustibile fossile meno inquinante, tanto da essere definito dall’Unione Europea “bridge” verso le fonti rinnovabili.
Voglio sperare che tali note contribuiscano ad un ripensamento sereno e obiettivo di una materia complessa e difficile, l’approccio alla quale non può essere dettato da una sorta di terrorismo ecologista, anche se temo che, a volte, la disinformazione, il pregiudizio o il luogo comune, come la paura, o come la calunnia, pesino più di ogni rassicurazione o smentita razionale e scientifica. Come avrebbe detto Plutarco, qualcosa resterà sempre.
Francesco Saverio Calcara
AUTORE. Redazione
Professore, lei cita un docente universitario e mi vuole rendere la vita facile, io le potrei citare, in rigoroso ordine alfabetico: Nicola Armaroli, Vincenzo Balzani, Enzo Boschi, Stefano Caserini, Sergio Castellari, Marco Frey, Flavia Marzano, Luca Mercalli, Giorgio Parisi, Gianni Silvestrini, Mario Tozzi, ecc ecc ecc ecc ecc…
Potrei anche chiudere qui, ma non mi piace il “ponciponciponcipo” (ti piace vincere facile?) e mi sono, come sempre, andato a leggere i numeri, perché non mi fido.
Partiamo dal nucleare. Già ritengo poco rispettoso della volontà del popolo italiano che si è dovuti arrivare ad un secondo referendum per dire che noi centrali nucleari in Italia non ne vogliamo! Non voglio utilizzare nessuna argomentazione sui rischi, sui costi e sulla resa, mi basta suggerirle di andare a leggere a che punto sono oggi, dopo 5 anni, i reattori di Fukushima, perché se è passata l’onda emotiva, ancora oggi quei reattori contaminano a pieno regime. Dia un’occhiata –
Veniamo al nostro.
Non è affatto vero che smantellare le piattaforme entro 12 miglia ci fa rinunciare al 65% del totale della produzione dei gas fossili. Le piattaforme entro 12 miglia estraggono il 27% della produzione nazionale di metano (e il 9% del petrolio).
Questo 27% ha rappresentato, nel 2014, quasi il 3% del fabbisogno nazionale. Per intenderci, hanno estratto 1,84 miliardi di metri cubi e ne abbiamo consumato 62 miliardi (Petrolio 1% del fabbisogno).
Tenuto conto che le 35 concessioni sarebbero terminate a scaglioni tra il 2017 e il 2034, ci sarebbe stato tutto il tempo di provvedere a tale mancanza.
La bilancia dello Stato non sarebbe aumentata affatto, perché quello estratto viene prelevato, lavorato e rivenduto dalle compagnie (anche straniere come Edison che ormai è proprietà francese), mica regalato. A volte comprarlo all’estero può risultare pure più conveniente. Ora, con il tempo illimitato, le società faranno in modo di estrarre senza mai superare la franchigia prevista nei contratti, facendo perdere al nostro Paese miliardi di euro di royalties.
Lei scrive che si parla più che altro di metano, e non di petrolio. E’ vero, ma non stiamo parlando di energia pulita, si tratta di un idrocarburo ugualmente inquinante. In Italia ci sarebbero diverse soluzioni per farne sempre meno uso, soprattutto nel riscaldamento, e passi in avanti si faticano a compierne. E, a prescindere da questo, esiste un diritto alla godibilità dell’ambiente che non può essere sacrificato con mostri metallici in mezzo al mare, qualsiasi cosa estraggano dal sottosuolo.
Non è affatto vero che con la dismissione delle 35/40 concessioni entro le 12 miglia si perdono 6000 posti di lavoro. Sulle più grandi piattaforme lavorano in 25/30, alcune sono comandate anche da terra senza personale a bordo. La stessa CGIL ne dichiara un centinaio (Fonte: http://www.fiom-cgil.it/web/salute-e-sicurezza-rls/news/3095-referendum-17-aprile-i-posti-di-lavoro-non-sono-a-rischio).
Detto questo, se non è chiaro, o forse perché non ho espresso giudizi, lei ha avuto tutto il diritto di astenersi, ci mancherebbe.
Per concludere, mi rifaccio al suo penultimo capoverso, la speranza è condivisa, ma bruciare la possibilità del 17 aprile ci porta su una strada esattamente contraria.
Ormai è acqua passata, anche se resta la remota possibilità che venga accolto il ricorso sulle proroghe definite illegittime.
Saluti
Le informazioni che avevo acquisito io, anche da media esteri, rispecchiano in generale ciò che riporta Annibale.
( Tanto per dirne una:… estraggono gas e non petrolio, ma quando trivelli sovente se non sempre dove c’è gas c’è petrolio, magari in quantità così ridicole che lo si lascia evadere in mare).
Inoltre, la strada principale da percorrere deve, o meglio dovrebbe, essere quella del risparmio e dell’efficienza energetica. Vi è tanto sporco in quel di energia pulita, sporco di cui in futuro si parlerà molto.
Giusto per non smentirsi: Con La Risoluzione n. 3/DF del 1° giugno 2016 il Ministero delle Finanze ha di fatto esentato per il futuro i proprietari delle piattaforme in mare dal pagamento dei tributi locali.
Persi dai comuni che ne avevano diritto 200 milioni di euro.