Il respiro che viene meno fino a farlo diventare paonazzo. L’arrivo dell’ambulanza a sirene spiegate. La stanza del pronto soccorso e quel cappuccio improvvisamente poggiato sul capo. Poi qualcuno ha spento la luce. “Mi sono addormentato a Bergamo, la mia città, e mi sono svegliato a Palermo. Ma io mica ci credevo…”.

E ci ha messo un po’ per farsene una ragione, Ettore Consonni, 61 anni, magazziniere in pensione. Quando il coronavirus lo ha colpito non c’erano posti in Lombardia, così un aereo militare lo ha portato fin qui, all’ospedale Civico. “In Rianimazione sentivo l’accento siciliano, ma pensavo a qualche medico emigrato. Mi dicevano che ero a Palermo, ma pensavo scherzassero”.

Ci ha messo 23 giorni, quando è uscito dalla terapia intensiva, per convincersene. “Qui mi hanno resuscitato, grazie: ci sono infermieri e medici speciali”, dice guardando negli occhi Paola, Silvia, Dario, Emanuele e gli altri. Adesso spera di tornare nella sua martoriata terra: “Ma la Sicilia me la tatuerò sul cuore”


fonte. youtube/Repubblica.it

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