Racconto di Dèsirèe Castiglia. “Una bambina di sei anni non può mai immaginare che il proprio papà, il proprio eroe, non torni mai più a casa dopo il lavoro. Io stessa non me lo sarei mai immaginato. Il mio papà si chiamava Angelo Castiglia. Era un gran lavoratore. Ha sempre lavorato per mantenere la mia famiglia, siamo quattro figli e i nostri genitori non ci hanno mai fatto mancare niente.
Io, non so neanche perché è successo, della mia infanzia ho pochi ricordi, faccio davvero molta fatica a ricordare. Spesso però, grazie ai racconti, riesco a “vivermi” papà, anche se non è nel modo che vorrei. Papà era buono, da noi si dice un pezzo di pane, lo conoscevano tutti. Ha sempre lavorato fuori, a Udine, in Arabia Saudita e in Germania per quanto ricordo. Stranamente però, qualche mese prima di morire è voluto tornarsene qui nel suo paese Sapri, per stare vicino alla sua famiglia.
Era un lunedì mattina quando avvenne la tragedia. Esattamente il 23 Luglio 1996. Come al solito quella mattina andò a lavorare. Mia madre mi ha detto che il cantiere era pessimo, non esisteva una protezione e soprattutto l’impalcatura su cui lavorava non era a norma.
Quel giorno non doveva neanche salire su quella maledetta impalcatura, ma per la sua bontà prese il posto di un ragazzo, suo collega, poiché quest’ultimo aveva un po’ esagerato nel fine settimana, doveva ancora smaltire i postumi. Salita l’impalcatura, un po’ per il peso, un po’ per le condizioni pessime di questa, una delle basi cedette: scaraventando giù papà. Ha fatto un volo di 12 metri, era al quarto piano del palazzo dove stava lavorando. Non è morto sul colpo ma è rimasto lucido sino all’arrivo all’ospedale, è deceduto durante l’operazione.
Aveva solo 44 anni e ha lasciato me, i miei tre fratelli e la mamma.
All’epoca dei fatti solo una delle mie sorelle era maggiorenne, degli altri tre minorenni la più piccola ero io, avevo solo sei anni. La ditta da allora è stata sempre assente. Dopo la morte del mio papà ha dato solo la misera paga che spettava mensilmente e per il resto ogni promessa fatta è sfumata, tra cui quella di pagare le spese dei funerali. Da allora c’è una causa in atto con la ditta. Abbiamo vinto la causa penale, nonostante la ditta si sia sempre dichiarata estranea ai fatti e abbia fatto ricadere la colpa su mio padre. Tra alcuni mesi invece ha inizio quella civile. La causa è durata da 11 anni e in questi lunghi anni abbiamo assistito alle testimonianze false degli altri operai che hanno dichiarato di non esser presenti al momento dell’incidente. Tutta la mia famiglia chiede solo giustizia!
Crescere senza papà non è stato facile. Mi sono sempre sentita diversa dagli altri, perché io non potevo stringere e chiamare il mio papà. Mi è mancato, anzi mi manca ancora oggi, poter pronunciare quella parolina, che per tutti è banale: papà. Mi è mancato non poterlo tenere vicino nei momenti speciali per una bambina che sta crescendo, Comunione, Cresima, compleanni, maturità. Soffro ogni volta che vedo un papà che scherza e gioca con il proprio bambino. Mi manca così tanto che ho continuamente paura di dimenticarlo. Mi fa male non riuscire a ricordare tutti i momenti passati insieme a lui. Ogni volta che sento parlare di morti bianche nel mio cuore mio padre muore nuovamente. Non riesco ad accettare che nel 2009 ancora debbano accadere queste tragedie con il progresso che c’è. Questo evento ha condizionato molto la mia crescita, lo dimostra che sono dovuta stare in cura da una psicologa perché avevo continuamente paura che potesse morire un altro caro. Ora che sono abbastanza grande capisco ciò che voglio: chiedo solo giustizia! Ho solo un rimpianto non avergli detto quanto lo amavo prima che la morte lo portasse via per sempre da me!”
fonte. http://sdp80.wordpress.com/2010/06/24/il-lavoro-uccide/
AUTORE. Samanta Di Persio