In pochi giorni, a Castelvetrano ,due abitanti si tolgono la vita.
Due vicende molto diverse, due persone appartenenti a generazioni molto lontane tra loro e che, in un momento di totale sconforto hanno deciso di chiudere il loro percorso di vita e suicidarsi. Situazioni che da lontano, appaiono molto differenti tra loro e che potrebbero prestarsi a diverse valutazioni.
Ogni cittadino di questa città ci può trovare tante possibili motivazioni. Il rischio di cadere nella superficiale demagogia o nella generica retorica è molto facile.Nel rispetto dei familiari e del momento drammatico che stanno vivendo, ci sembra doveroso non entrare minimamente nelle vicende e nelle dinamiche personali.
I “grandi” intellettuali, sociologi o psicoterapeuti potrebbe darci diverse spiegazioni. Potrebbe servire a consolare i familiari? Ormai, è accaduto. Indietro non si torna. Cosi come indietro non si torna per tutti gli atri casi di suicidio che sono avvenuti a Castelvetrano e in tanti altri comuni d’Italia.Suicidi spesso provocati anche da una cartella esattoriale o da un pignoramento.
Togliersi la vita putroppo non risolve i problemi e mette in evidenza le tante crepe della società del terzo millennio. L’episodio di cronaca però, non ci può lasciare del tutto indifferenti. Anche se, spesso, è proprio l’indifferenza o il “non vedere” che genera forti disagi nelle fasce sociali della popolazione. In molti ,si chiedono in queste ore, cosa può far scattare nella mente umana? Cosa genera il diabolico coraggio di darsi la morte?
Sono questioni complesse. Certo è che, il tanto disagio presente nelle persone, derivato in parte da questioni economiche e spesso anche affettive, pare sia solo un “problema” degli altri e che non appartenga a tutti noi. Eventi brutali come il suicidio di una persona, non può scandalizzarci solo quando accade. Dovrebbe far riflettere tutti noi, su cosa non sta funzionando nel vivere comune di ogni persona e nelle famiglie. Quante “persone” in questo momento, si trovano in difficoltà, si sentono sole, disorientate, senza un appoggio. Quanti ,per non essere considerati” deboli” o depressi o “esauriti”si nascondono e mettono in mostra una forza artificiale che non è loro? Forse molti, o forse pochi, chi lo sa.Decidete voi se sono tanti o pochissimi. Se nessuno è disposto ad ascoltare l’altro e l’altro ,non si sente “accolto” e viene solo giudicato o deprezzato, per quel che ha o per quel che fa apparire di se, non sarà facile aiutare il prossimo.
Una persona, “sempre” in quanto creatura di Dio, vale più di quel che fa o possiede. E questo valore umano lo abbiamo tutti dimenticato.La corsa ai falsi miti , alla ricchezza a qualsiasi costo e a ciò che non si può avere o essere, ha generato solo sconforto , confusione tanta solitudine interiore.
Il suicidio, quasi sempre è la punta dell’iceberg e non è consentito a nessuno giudicare o dare semplicistiche risposte di rito. Cominciamo tutti a non vivere la vita solo nell’interesse” materiale”.La crisi non è solo economica. Se chi sta male o è “sotto” per vari motivi, non trova chi lo accoglie o è disposto ad ascoltarlo senza giudicare, senza emettere sentenze del tipo” ma cu ti ci porta” o peggio ancora “chi ti pozzu fari”,di persone sole e disorientate e prive di voglia di fare, ne troveremo in ogni angolo della città. Spesso, per chi ha il dono della comprensione , della consapevolezza o della fede se preferite, è un dovere aiutare chi è in difficoltà , anche con la semplice accoglienza . L’indifferenza o il becero giustizialismo di maniera, ha generato solo mostri.
Questo grande momento di confusione e di congiuntura economica che vede tante persone disorientate e stanche, si può tentare di superare se, tutte le persone che possono dare un po’ della loro attenzione all’altro lo fanno , senza pensare, come spesso accade ad un possibile torna conto.
Filippo Siragusa
AUTORE. Redazione
è vero, giudicare una persona sul fatto che si tolga la vita è sbagliato, sarebbe più giusto giudicare i perché, e la incapacità involontaria di chi attorno a loro non ha percepito il disagio. Il tempo: il problema è il tempo… non si ha tempo per alcuno o alcuna cosa realmente importante. Il tempo è assorbito dai tremila interessi che ci circondano e che spesso ci impediscono di sentire colui che ci sta vicino. Il tempo è quel che manca alle persone, di ascoltare, di essere ascoltati, di sentire, di parlare, sfogarsi, piangere, emozionarsi insieme… siamo tutti troppo impegnati a lavorare o cercare lavoro, chattare, twittare, fare la spesa, guardare la TV, e con poco tempo per i rapporti umani. Sto generalizzando, scusate, ma questi iceberg, come li ha definiti il Filippo, sono figli di una società che ha mercificato il nostro tempo…
non e’ disagio sociale o affettivo la societa’ o la famiglia, non c’entrano nulla.Il problema e’ una malattia subdola che si chiama depressione.
E’ difficile potersi rendere conto di questa malattia, per lo piu’ i sintomi vengono sc ambiati per stanchezza,
svogliatezza. Il depresso e’ un grande mistificatore, si nasconde o a volte cela il suo stato perche’ e’ difficile che ne parli con qualcuno. Chi ha letto qualcosa della vasta letteratura in merito sa che e’ soltanto questa malattia che annienta l’istinto di conservazione.Naturalmente c’e’ sempre un evento scatenante che porta all’estremo gesto.
nel passato, diciamo fino agli anni ’50, quando la fame non era virtuale, ma reale che faceva contorcere per gli spasmi allo stomaco,la morte era a portata di mano di tutti: fame malattie, la guerra, la disoccupazione, ma nessuno voleva morire. C’era un attaccamento morboso alla vita, che purtroppo sfuggiva facilmente. Si sognava allora il benessere, uno stato assistenzialista, la pensione, potere sfamare i propri figli che piangevano per la fame. Oggi che questi sogni si sono realizzati e la media della vita si è allungata come non mai nella storia dell’umanità, i figli del benessere ricorrono al suicidio al primo scalino che incontrano come ostacolo della vita. Ha ragione Rosanna Centonze, ma la depressione non è una malattia a se stessa, ma il frutto del benessere e di una educazione familiare troppo licenziosa.
condivido i pensieri di rosanna e vito: chi arriva al punto di attuare un suicidio è malato, ma è una malattia alla cui base sta uno stato sociale, affettivo, familiare talora arido, talora assente, distratto da altri elementi, e privo … del tempo necessario per vedere, sentire, ascoltare, capire. ormai si parla per tot di caratteri, ed in poche parole si devono esprimere tante cose, non c’è tempo per lunghi sproloqui… tempo, manca il tempo…
volevo rispondere a francesco che dice ” chi arriva al punto di attuare un suicidio è malato” ascolta, non ci sono dubbi che è un gesto inaccettabile, specialmente per persone che come me lo hanno vissuto da molto vicino, dato che l’anziana persona era mio nonno. Sicuramente rimangono tante domante che nessuno riuscirà a dare delle risposte. Generalizzando non posso esprimere giudizi, ma nello specifico ti posso assicurare che quell’estremo gesto è frutto di una persona novantenne ancora al cento per cento delle sue facoltà mentali ma spaventata (presumo)dalla delicatezza dei dottori da cui ha appreso il suo attuale stato di salute. Perche oggi i dottori (non tutti)hanno perso il tatto con i pasienti, siamo veduti come fonte di guadagno. Comunque possiamo solo fare delle concetture………
“chi arriva a togliersi la vita è malato”, mi sa di concetto chiuso e preconfezionato.