Otto mesi di reclusione per interruzione di pubblico servizio. E’ la condanna inflitta a Graziano Cecchini che 16 gennaio dellos corso anno fece scendere circa cinquecentomila palline colorate sulla scalinata di Trinità dei Monti a piazza di Spagna. L’interruzione era basata sulla circostanza che, a causa della presenza delle palline, era stato impedito il passaggio in piazza di Spagna di due bus.

Il giorno della convalida del fermo Cecchini definì il suo gesto “un’azione non violenta che uccide violentemente il cervello di qualcuno. La gente si è divertita. Non è stato fatto del male a nessuno – disse – Questa è l’arte popolare, la pop arte. Sono futurpalla adesso. Questa condanna mi fa sciogliere l’ultima riserva che avevo per decidere della mia candidatura alle europee: correrò per la lista di Storace e Lombardo nel collegio del Nordest. Sarà una rivoluzione arancione».

E dice che chiederà al suo avvocato di poter scontare i mesi e vorrei vedere in faccia anche questo giudice che me li ha inflitti. Quanto all’interruzione di pubblico servizio, «a Roma l’unico blocco lo ha fatto per anni la gestione veltroniana». «Avendo lanciato 500 mila palline -rimarca l’artista che colorò di rosso la Fontana di Trevi – ho dimostrato di avere gli attributi. Il primo maggio – anticipa quindi Cecchin i- sarò in Piazza Venezia, a Roma, con un pulmann rosso per manifestare in favore dei diritti umani. Invito il giudice a farsi una passeggiata…».

Vittorio Sgarbi, che ha già assegnato a Cecchini la carica di assessore al Nulla nella sua giunta a Salemi, promuove il “futurista” e gli assegna la delega della Giustizia. Per Sgarbi l’azione di Cecchini è «un’opera d’arte globale e totale». Cecchini, secndo Sgarbi, «avrebbe dovuto invece essere premiato per avere fatto l’opera d’arte più importante in Italia, e riconosciuta al mondo, del Nuovo secolo e millennio: l’arrossamento della Fontana di Trevi, finalmente tornata alla vita (d’altra parte, le mestruazioni, ne sono il segno) dopo essere stata soffocata dal turismo». La condanna è «una censura all’arte».

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