Pubblichiamo la lettera aperta di Francesco Saverio Calcara, già assessore della Città di Castelvetrano, in risposta alle recenti dichiarazioni del consigliere comunale Calogero Giambalvo.

Signor consigliere Giambalvo,

video le iene giambalvodetesto l’ipocrisia e, avendo letto attentamente la sua “lettera aperta alla città”, devo dirle innanzitutto che ho rilevato in essa l’approccio diretto e personale ai suoi (e miei) concittadini. In parole povere, la lettera è sua e non se l’è fatta scrivere; e questo mi piace.

Signor Giambalvo, lei si deve dimettere. La cosa è chiara come il sole. E avrebbero dovuto dirglielo, subito, i suoi amici (o presunti tali), quelli che in piazza, prima che scoppiasse il caso, l’ abbracciavano e le davano le pacche sulle spalle, e che in consiglio si producevano in ridicoli contorsionismi verbali, piuttosto che chiederle una cosa semplicissima: “Lillo, le hai detto davvero quelle cose? Sì? E allora, anche se il giudice ti ha assolto, qui non puoi stare”. Punto.

E, invece, si è fatto scoppiare il caso nazionale, con tutto il solito armamentario dell’antimafia militante in servizio permanente effettivo, che ha indotto, tardivamente e quindi inefficacemente, a cucire toppe che, come spesso accade in questi casi, sono risultate peggiori del buco.

Personalmente sono convinto che ella con la mafia non abbia niente a che fare e che è stato solo uno sprovveduto – nel senso etimologico del termine, cioè un debole – a cui sono scappate dalla bocca diverse gravissime affermazioni, delle quali, se non deve pagare penalmente, come il giudice ha stabilito, deve però rispondere politicamente. E dunque, lei non ha alternative alle dimissioni.

Detto questo, resta l’amaro per una città che è stata trascinata, ancora una volta, sulla pietra del vituperio nazionale: il paese di Messina Denaro, la cappa di mafiosità, l’intreccio mafia-politica, le connivenze, l’omertà, il malaffare, le coppole, ecc. ecc.; il tutto condito con le ormai rituali interviste, sapientemente ricercate e opportunamente montate, con i “servizi”, e le provocazioni alle quali, spiace dirlo, la nostra classe politica, tranne qualche eccezione, non ha saputo sottrarsi, cadendo pienamente nella trappola mediatica.

Quando la troupe di Canale 5 mi ha rivolto delle domande, in Via Mazzini, sapevo benissimo che mai e poi mai avrebbero trasmesso la mia intervista, giacché ho fatto notare all’imbarazzato inviato che, nell’era del villaggio globale, era grottesco venire a cercare a Castelvetrano la “cappa” della mafia, quando oggi gli interessi di Cosa Nostra sono legati ai grandi traffici del riciclaggio, della droga, delle armi, dei clandestini, “affari” che si gestiscono per via mediatica e che hanno probabilmente la loro sede nelle capitali della grande finanza.

Essere la patria di Messina Denaro non significa niente, come niente significa dire di essere la patria di Giovanni Gentile, o vantare i nostri monumenti, il paesaggio, Selinunte, Triscina e via ripetendo. Non serve a nulla, neppure, proclamare di essere persone per bene, perché, nel nostro caso, nemmeno l’onestà personale è più sufficiente. Occorre una forte ripresa della politica, che sia davvero strumento di selezione di una classe dirigente la migliore possibile e non tavolo di spartizione d’incarichi e prebende; una ripresa che passa inevitabilmente da una sorta di rivoluzione culturale alla quale le energie migliori di questa città non possono né debbono sottrarsi.

Signor consigliere, al di là degli attacchi alla sua persona che ovviamente condanno, spero che il suo lodevole proposito di “lunga riflessione” la porti alla ragionevole decisione di fare un passo indietro. Ciò non salverà né il Comune né tantomeno il mondo intero, ma potrà essere un importante passo per il rilancio di questa città alla quale ella dice di volere così bene. Lo dimostri coi fatti. Un saluto.

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