In quello del cappellone si rappresenta il fondamento scritturistico della dottrina del Purgatorio nella scena di Giuda Maccabeo che dà sepoltura ai morti in battaglia e ordina per essi, che si erano macchiati del peccato di idolatria, avendo serbato sotto le vesti amuleti pagani, un sacrificio espiatorio: pensiero santo e pio, come sottolinea la scritta tratta dal cap. 12 del II libro dei Maccabei.
L’affresco centrale, diviso in due campi, ripropone, in basso, l’episodio raccontato in Lc 10,34 del buon samaritano che assiste l’uomo assalito dai ladri sulla strada che da Gerusalemme scendeva a Gerico
Nella parte superiore dell’affresco, l’autore non a caso rappresenta le tre virtù teologali – riproposte da altra mano, nella volta, anche in un alto rilievo in stucco – mentre un angelo turiferario le incensa; si vuole ancor più sottolineare la dottrina del suffragio, in base alla quale le pene dei defunti possono essere alleviate attraverso le opere di gratuita carità, ispirate dall’esercizio di quelle virtù.
Nel terzo dipinto, Cristo risorto, che conduce al Padre l’umanità redenta, suggella, attraverso il sacrificio eucaristico, prefigurato da quello voluto da Giuda Maccabeo, il nuovo patto d’alleanza stretto con l’uomo, così come sottolineato dal cartiglio riportante una frase tratta da Zc 9, 11. Si vuole ribadire, anche attraverso la presenza di S. Filippo Neri e S. Carlo Borromeo che si librano su un altare dove è esposta l’Eucarestia, la dottrina tridentina dell’efficacia della messa e della preghiera come mezzi di suffragio per le anime purganti; una della quali, in alto, è rappresentata vicino a Dio, mentre un’altra, abbracciata da un angelo, si appresta a raggiungerlo.

Sulla cima dell’arco di trionfo campeggia lo stemma, partito e coronato, dei principi della città, recante le armi degli Aragona e dei Pignatelli.

Sulla sommità delle porte collocate alle pareti di fondo delle due navatelle furono affrescati: a destra, S. Carlo Borromeo, rappresentato in preghiera secondo lo schema tipico della sua iconografia; e a sinistra, oggi poco leggibile, S. Filippo Neri in abiti sacerdotali.
La presenza dei due soggetti, cari alla spiritualità dei Filippini, e gli affreschi, invero di non eccelsa mano, che ancora una volta raffigurano i due Santi, nella fascia alla base della volta della sacrestia, confermano il ruolo che almeno fino ai primi del Settecento quei religiosi svolsero nella chiesa del Purgatorio dopo che ebbero lasciata quella di S. Giovanni, all’indomani della sua erezione in parrocchia nel 1627.

Ancora alla fine del secolo, l’Oratorio, destinatario di lasciti e soggiogazioni, era costituito da sei religiosi. Ma già ai tempi del Noto, gli Oratoriani, mancando il ricambio, erano scomparsi e sostituiti del tutto, nella gestione della chiesa, dalla Congregazione del Purgatorio.

Utilizzata come auditorium negli anni 80, la chiesa è stata concessa dalla Curia Vescovile, che ne è proprietaria, in comodato d’uso al Comune di Castelvetrano. Gli ultimi lavori di manutenzione ordinaria risalgono al 2009-2010, quando furono ripuliti i tetti, risarcite diverse crepe, rinforzato un contrafforte, ricollocata la croce caduta per il terremoto del 1968.

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