Diverse autorità e moltissimi visitatori per la cerimonia di riapertura della Chiesa di San Domenico in Castelvetrano, appartenente al fondo Fec del Ministero dell’Interno.
Nel ’68, a seguito delle scosse del terremoto che sconquassarono la Valle del Belice, fu chiusa al culto. E chi lo ricorda, proprio l’anno del sisma fu l’ultimo durante il quale si poterono ammirare quei capolavori nell’abside per via dei quali è stata più volte definita come la “Cappella Sistina di Sicilia”.
Da oggi, sarà possibile ammirare, col naso all’insù, un’opera davvero originale che il Ferraro realizzò come capostipite di una illustre famiglia di stuccatori e pittori insediatisi per generazioni a Castelvetrano. L’artista fu chiamato a Castelvetrano da don Carlo d’Aragona “Magnus Siculus” (presidente del Regno (1566-68/1571-77) che, probabilmente, ne aveva ammirato i lavori ultimati nella Cattedrale di Palermo nel 1574.
Ci sono voluti cinque anni e l’impegno dell’architetto Gaspare Bianco della Soprintendenza ai beni culturali di Trapani affinché si restaurassero stucchi e marmi dell’apparato decorativo del presbiterio e liberare quei capolavori da ponteggi come gabbie.
Il restauro ha costituito un’irrinunciabile opportunità di studio delle tecniche artistiche caratterizzanti questa misconosciuta bottega di “cesellatori siciliani” dello stucco – spiega Bianco – e una straordinaria occasione per un approfondimento e una appassionata ricerca sull’iconografia cristiana e sul valore della forza comunicativa delle immagini
perché non si provvede a mettere in prossimità dell’opera o dell’affresco una tabella che spieghi, ai comuni mortali, anche con un semplici indicazioni il significato e le caratteristiche delle varie opere.