Roberto Scarpinato, oggi procuratore aggiunto di Palermo, ha collaborato con Falcone e Borsellino dal 1989 al 1992, occupandosi in seguito di diversi processi legati ad attività criminali mafiose. E’ autore del libro “Il ritorno del principe”, edito da Chiarelettere nel 2008. Presente al festival del giornalismo d’inchiesta di Marsala in cui, durante il dibattito “soluzione finale”, parla di mafia, di intercettazioni, di democrazia a rischio e di come a garantirci sia rimasta soltanto la Costituzione che, se modificata o cancellata, ci farebbe tornare ad essere il paese di don Rodrigo.
Colpiscono le parole di Scarpinato sul pericolo della scomparsa della classe operaia e la smobilitazione delle masse, che permetterebbe a qualcuno di avere le mani libere; sulla demonizzazione dei pentiti e il trasferimento dei magistrati che volevano fare il proprio dovere, come De Magistris e la Forleo; sull’invasione delle istituzioni da parte della criminalità e sulla seconda Repubblica, fondata sulle stragi del 1992 e ’93.
Tempo fa aveva dichiarato di avere difficoltà a partecipare alle commemorazioni delle stragi di Falcone e Borsellino, quando in prima fila siedono dei personaggi inquisiti o condannati, che davvero poco hanno a che fare con la vera antimafia. Oggi, in previsione di una maggiore partecipazione popolare, con la nascita anche di comitati spontanei, pensa di partecipare?
Guardi, da un po’ di tempo io partecipo a delle manifestazioni alternative; ci sono per esempio delle messe che vengono fatte celebrare dai familiari di Falcone o la Morvillo, privatamente. Ecco io partecipo a quelle messe invece che a quelle ufficiali. Partecipo ai dibattiti ma, sinceramente quando mi trovo nello stesso luogo con delle persone che sono state condannate o processate per mafia e corruzione che al tempo stesso rappresentano lo Stato, io mi trovo in imbarazzo perché mi chiedo come sia credibile uno Stato che si presenti con certe facce. Ricordo che sino alla metà degli anni ’80 la gente, la società civile non c’era, non veniva ai funerali dei magistrati e dei poliziotti uccisi, non solo perché aveva paura ma anche perché non credeva in uno stato che si presentava con i volti di personaggi impresentabili: i Lima, i Ciancimino e i loro protettori a Roma. Il merito di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è stato quello di aver reso credibile lo Stato. La gente ad un certo punto si è trovata con uno Stato che appariva credibile perché aveva i volti di Falcone, Borsellino e altri magistrati come loro.
Oggi la credibilità dello Stato ha subito un regresso?
A me preoccupa l’esempio che offriamo alle nuove generazioni, perché da una parte diciamo loro che bisogna diffondere la cultura della legalità e dell’antimafia e poi dall’altra offriamo lo spettacolo di un Parlamento e di consigli regionali imbottiti di pregiudicati e rinviati a giudizio. Un’incoerenza totale, una sorta di schizofrenia. Come dicono i francesi, i figli non si educano con le parole ma con gli esempi. Questi sono esempi che contraddicono la credibilità dello Stato. Oltre all’imbarazzo, da parte mia c’è una sorta di tristezza, perché credo che lo Stato debba rappresentarci con dei volti che siano assolutamente credibili.
C’è secondo lei il rischio di cavalcare un’onda emozionale che magari a lungo andare potrebbe svuotarsi? Salvatore Borsellino si chiedeva dove fosse andata a finire tutta quella gente che al funerale del fratello gridava “Paolo! Paolo!”. Abbiamo visto, durante il dibattito sul giornalismo d’inchiesta a Marsala, come le tante persone presenti, dopo il suo intervento, abbiano applaudito a lungo alzandosi in piedi. C’è il pericolo che alla fine resti poco di questa onda emozionale?
Le emozioni sono importanti, però non si può costruire il futuro sulle emozioni, bisogna costruirlo sui fatti. Questa è una fase storica in cui le persone che vogliono partecipare alla vita politica, alla vita democratica, che vogliono salvare i valori fondanti della nostra democrazia, non hanno più sbocchi, perché esiste una oligarchia al potere che è auto referenziale e che ha privato la gente addirittura della possibilità di esprimere un voto di preferenza alle consultazioni politiche. Il Parlamento è selezionato da alcuni oligarchi sulla base di criteri di fedeltà ai vertici dei partiti o di una celebrità mediatica. Quando la società civile ha tentato di riprendersi la politica, con manifestazioni di piazza, il potere ha demonizzato questa voglia di riappropriarsi dal basso della politica da parte della società civile, qualificando i girotondini come una deriva qualunquistica o criminalizzando manifestazioni come quella di piazza Farnese. La televisione di Stato non da voce a questa Italia pulita , e le trasmissioni televisive non sono altro che salotti dove una ventina di persone, dai vertici politici ai direttori di grandi giornali, si frappongono fra il Paese e la sua verità.
Allora è dall’indignazione che bisogna ripartire?
Negli anni ’70 e ’80 c’era un motto che diceva: “indignarsi è giusto, ribellarsi è giusto”, però poi occorre costruire dei canali dove questa rabbia e questa indignazione civile possa scorrere e trasformare l’emozione in una realtà istituzionale e politica. L’emozione più grande resta sempre quella di innamorarsi del destino degli altri e comprendere che pensare di salvarsi da soli è un illusione, perché da soli ci si perde. Se ci si vuole salvare, bisogna salvarsi insieme.
Egidio Morici
per “L’isola” quindicinale di informazione della provincia di Trapani